«E non ne avrà, può starne certa.»

«Quindi ammette che avevo ragione io.»

«Non ricordo di aver detto niente di simile.»

«Ma io...» Ashley si interruppe e si chiese che cosa diavolo stesse facendo, lì in piedi a discutere con lui. Voleva avere l'ultima parola. Non riusciva a staccarsi da lui, a smettere di osservarlo. Era proprio un tipo interessante. Non aveva il viso regolare da bravo ragazzo, ma un volto espressivo, dai lineamenti marcati, segnato dal tempo. Uno che ti fermi a guardare. Ashley pensò che se fissava i sospetti in quel modo, con quello sguardo ombroso e penetrante, probabilmente confessavano per il semplice fatto che sembrava che potesse leggerti dentro.

Proprio come guardava lei adesso.

Di colpo si sentì goffa e imbranata.

Lui sorrise. E il suo volto cambiò espressione. Non era solo un tipo interessante. Era anche attraente e terribilmente affascinante.

«C'è altro?» le chiese.

«Potremmo andare a quel programma televisivo dove discutono i casi. E far decidere al giudice Judy» osservò scherzosa.

«È un'idea. Oppure più semplicemente mi porti il caffè che ho ordinato.»

«Sì, certo.»

Fine delle fantasie su quel sorriso.

Era un emerito idiota, pensò Ashley mentre rientrava.

Peccato che doveva portargli solo un caffè. Avrebbe voluto rovesciargli in testa un'intera caffettiera.

 

7

 

Jake riprese a scorrere la lista dei nomi delle persone collegate a Peter Bordon. Conosceva bene quella lista. L'aveva letta milioni di volte negli ultimi anni. Però era sicuro che ci fosse qualcosa che gli sfuggiva. Si trattava solo di scoprire cosa.

Tutti quei nomi gli si confusero davanti agli occhi.

Persone disilluse, in gran parte giovani, in cerca di qualcosa per cui valesse la pena vivere e convinte di averlo trovato. Ora si erano trasferiti tutti.

Un giovane era in un seminario cattolico nel Tennessee. Molti avevano lasciato lo Stato.

Si strofinò le tempie e ripensò all'incontro con Peter Bordon, tanti anni prima. Gli aveva aperto la porta una giovane donna. Cary Smith. Avevano già controllato. Si era trasferita a Seattle, aveva sposato un ragazzo che lavorava in un'industria ittica e avevano due bambini. Anni fa, Jake ne era certo, era convinta di essere al servizio del profeta che voleva rendere il mondo migliore distribuendo pasti ai bisognosi.

Poi c'era John Mast, il braccio destro di Bordon. Era andato dentro per frode, anche lui. Sarebbe stato fra i primi nella lista dei sospettati.

Ma era morto.

Jake chiuse la pratica.

Non lasciare che diventi un'ossessione, ricordò a se stesso. Non era un giustiziere solitario. Potevano contare anche su Franklin, dell'FBI. Franklin era borioso, arrogante e irritante oltre il limite del sopportabile, ma sapeva il fatto suo.

Si sarebbero incontrati il giorno seguente. Franklin stava vagliando i rapporti di omicidi avvenuti in tutto il Paese per scoprire se vi erano casi analoghi. Poi, come avevano fatto durante la prima riunione, si sarebbero incontrati per aggiornarsi sui risultati, confrontare gli appunti e studiare insieme gli interminabili tabulati pieni di dati. Tutto ciò che avevano riguardo al passato e al presente.

Cosa avevano del presente? Un cadavere. Un cadavere che riportava i segni evidenti di una morte violenta e che imitava gli omicidi del passato. Il corpo di una donna senza nome trovato in uno stato di decomposizione molto avanzato, abbandonato in una fossa di fango e spostato dalle piogge.

E del passato...

Nancy.

La rivedeva sul ponte della Gwendolyn. «Non credo che quel ragazzo abbia ucciso qualcuno. Ne troveremo ancora, Jake. Altri cadaveri. A meno che non si riesca a smantellare la setta. Peter Bordon crede di essere Dio. Crede di avere il potere di togliere la vita. Pensa di essere la mano di Dio, la Sua volontà, qualcosa del genere.»

«È da parecchio che gli stiamo alle costole, riusciremo a rinchiuderlo» aveva detto Jake con convinzione.

«Non ci riusciremo, se non forniamo al procuratore le prove che c'è lui dietro agli omicidi.» Aveva guardato l'orologio. «Devo andare.»

Qualcosa nel suo modo di fare lo aveva infastidito.

«Dove vai?»

«A casa. Ho un marito, ricordi?»

Ma non era andata a casa. E il giorno dopo Brian Lassiter si era presentato per la prima volta sulla Gwendolyn, pronto a sfidarlo.

Ma lei non era lì. E poi...

Tensione. Paura. Accuse. Ricerche.

Ci erano volute settimane per rintracciarla, nonostante tutte le forze di polizia fossero impegnate nella ricerca della collega. Alla fine l'avevano trovata in fondo a quel canale. Gli esperti erano riusciti a individuare le tracce di pneumatico ormai quasi scomparse, e da quelle avevano dedotto che Nancy aveva perso il controllo dell'auto. Nient'altro.

Nel tempo intercorso tra la scomparsa e il ritrovamento, Peter Bordon era stato accusato e arrestato per frode ed evasione fiscale. Ma era libero quando Nancy era scomparsa. Quando Nancy era morta.

Jake sentì ogni muscolo contrarsi.

Non lasciare che diventi un'ossessione, si ripeté.

Imprecò e fissò il bicchiere vuoto di tè freddo che aveva davanti. Dov'era il caffè che aveva ordinato?

 

Il locale era pieno di gente. Ashley si era dovuta fermare da diversi clienti mentre passava tra i tavoli per andare a prendere il caffè che il detective Dilessio le aveva chiesto in modo così gentile. Quando finalmente stava per raggiungere il bancone, incontrò Curtis Markham, poliziotto della South Miami.

«Ciao, ragazzina, come procede all'accademia?» le chiese.

Curtis era un tipo simpatico. Trent'anni, sposato, un figlio. La moglie lavorava per una compagnia aerea. Di solito veniva al bar con lei, oppure la domenica, quando portava il figlio a fare un giro sulla piccola barca a vela. I capelli rossicci si stavano striando di grigio, ma, forse per stare al passo con il figlio, era magro e atletico. Curtis beveva solo un giorno alla settimana: la domenica. Quella sera era seduto al banco con una bibita dietetica e mangiucchiava qualche bocconcino di pesce fritto.

«Tutto bene, grazie Curtis.»

«Avevo paura che ti pentissi di essere entrata in polizia.»

«Perché?»

Si strinse nelle spalle. «La scuola è dura. Poi esci per la strada e hai a che fare con la feccia dell'umanità. Tutti i giorni rischi la vita e vieni pagato due soldi. Avevo paura che tu cominciassi a pensare che è un lavoro poco gratificante.»

Sorrise. «Tu la pensi così?»

«Solo a volte.» Abbozzò una smorfia. «Di solito quello che vedo per le strade mi convince che sono un uomo fortunato. Torno a casa e ringrazio il Signore di avere una bella moglie e un figlio in gamba.»

Lei rise. «Penso che tu sia l'unico poliziotto allegro che conosco.»

Curtis sollevò un sopracciglio. «Ci sono poliziotti musoni, qui dentro?» Si guardò in giro.

«No, fuori. Un detective della Miami-Dade» bisbigliò Ashley. «Jake Dilessio. Un tipo scorbutico. Ma forse lo è solo con me. Non credo di piacergli molto.»

«C'è Jake, fuori?» chiese Curtis.

Annuì. «Forse farei meglio a portargli il caffè.»

«Ha i suoi buoni motivi per essere scorbutico.»

«E quali?»

«Ci sono stati degli omicidi collegati a una setta religiosa, cinque anni fa. Te li ricordi?»

«Vagamente. Qualcuno ha confessato e poi si è ucciso in prigione. Si diceva che non fosse stato lui ma, a quanto mi risulta, in seguito non ci sono stati altri cadaveri.»

«Sbagli. Ne hanno appena trovato un altro.»

Ashley si accigliò. «Il principale sospetto era il capo della setta, ma non sono mai riusciti a incastrarlo con prove concrete. È andato in prigione per qualche altro crimine, giusto?»

«Giusto. Ed è ancora dentro. Ciò non toglie che Jake sarà parecchio sotto pressione. Per questo è così scorbutico.»

«Siamo tutti sotto pressione, ma non è un buon motivo per prendersela col prossimo.»

D'un tratto Curtis scosse la testa e la fissò in modo strano. Senza capire, Ashley si voltò.

Si trovò a faccia a faccia con Dilessio.

«Sono venuto a prendermi quel caffè.»

«Mi scusi.»

«Di solito il servizio qui da Nick è veloce» rispose il detective.

«Come stai Jake?» s'intromise Curtis.

«Ciao, Curtis. Bene, grazie.»

«Mi hanno detto che hai preso un ormeggio qui.»

«Ho spostato la barca questo fine settimana. Forse farei prima a tornarci e a prepararmelo lì il caffè» osservò in tono ironico.

Ashley prese il bricco del caffè, afferrò una delle tazze appese al muro e si affrettò a riempirla.

«Scusa, è tutta colpa mia» disse Curtis. «Ho trattenuto Ashley per chiederle come va il corso.»

«Sono sicuro che la signorina Montague se la cava benissimo» borbottò Jake caustico. «È così veloce...»

«Perché non si porta al tavolo tutto il bricco, così può riempirsi la tazza quando vuole? E lasci stare per il conto, Nick le offre il pranzo come benvenuto al porticciolo» cinguettò Ashley affabile.

«Nick mi ha già offerto il pranzo di benvenuto, e io pago sempre i miei conti» rispose Dilessio. «E poi a me il caffè piace bollente. Nella tazza, però.» Si voltò verso Curtis. «Come stanno Sandra e Chris?»

«Molto bene grazie. Sono a Delray a trovare la nonna. Quindi, se non voglio cibarmi solo di scatolette e surgelati, credo che verrò qui a mangiare, nei prossimi giorni.»

«Conosco la situazione.»

Jake sorrise, prese la tazza e uscì, diretto al suo tavolo.

Ashley lo guardò e si accorse che teneva la cartellina sotto il braccio. Mai abbandonare il lavoro.

Curtis notò il modo in cui lei lo fissava. «Guarda che Jake è uno a posto. Siete solo partiti con il piede sbagliato.»

«E potrebbe far comodo avere un detective grosso e cattivo come vicino di casa» disse una voce femminile.

Ashley si girò e vide che Sharon Dupre era accanto a lei, perfetta ed elegante come sempre. Completo pantalone blu scuro, camicetta azzurro chiaro e scarpe scollate. Fissava Ashley con uno sguardo divertito.

«Ah sì, proprio fantastico» rispose Ashley. «Ci pensi tu a servirgli dell'altro caffè e a portargli il conto?»

«Certo. Tu siediti, ti porto qualcosa da mangiare. Mi immagino che schifezze vi danno alla mensa.»

«Ma hai lavorato tutto il giorno.»

«Ho solo fatto vedere una casa.»

«Sharon, potresti dare tu una mano a Nick, stasera? Pensavo che, anche se Stuart Fresia è in terapia intensiva e non può ricevere visite, mi piacerebbe andare lo stesso all'ospedale. Forse riesco a parlare con i genitori.»

«Fresia? Ho già sentito questo nome» osservò Curtis.

Ashley gli raccontò dell'incidente, di ciò che aveva letto sul giornale e concluse dicendo che trovava incredibile che tutti lo ritenessero un drogato.

«La gente cambia. E il mondo della droga è molto allettante» spiegò Curtis.

Ashley annuì. Aveva già sentito quella risposta fin troppe volte. «Lo so. Ma non per Stuart. Comunque, voglio almeno andare a vedere di persona come sta.»

Sharon la guardò preoccupata. «Sei ancora all'accademia. Forse sarebbe meglio se non ti immischiassi.»

Nick si era avvicinato. «In fondo va solo a trovare un amico. Non va mica a strappare il caso all'investigatore che se ne occupa. Secondo me è una buona idea. Prima però siediti e mangia. Il pesce è così fresco che si muove ancora» scherzò.

«Accomodati.» Curtis indicò lo sgabello accanto a lui.

Ashley si sedette. Nick le versò una bibita e Sharon andò in cucina a prenderle da mangiare.

«Dimmi qualcosa di più del tuo amico» la esortò Curtis.

Ashley si strinse nelle spalle e cominciò a giocherellare con la cannuccia. «Intelligente, serio, con i piedi per terra.»

«Stavate insieme al liceo?»

Lei scosse la testa. «No, eravamo solo amici, e per molti anni. Se ci fosse stata una storia fra noi non potrei conoscerlo così bene. Dico davvero Curtis, Stuart non era il tipo da lasciarsi tentare dalla droga. Non esagerava neppure con gli alcolici. Mai.»

Sharon posò il piatto di pesce davanti a lei. «Adesso mangia.» Le strizzò l'occhio. «Intanto io vado a portare il caffè all'orco là fuori.»

Sharon si allontanò.

«L'orco là fuori?» chiese Nick perplesso, dall'altra parte del bancone.

«Dilessio» spiegò Curtis.

«Jake non è un orco. È simpatico. E poi potrebbe tornarti utile conoscere uno come lui al dipartimento» disse serio Nick.

«Per fortuna il dipartimento è abbastanza grande» mormorò Ashley. Finì di mangiare. «Nick, se pensi di riuscire a cavartela, io andrei. Quando torno credo che crollerò a letto, per recuperare il sonno perduto. Noi piccoli allievi iniziamo alle sette. Ciao Curtis, ci vediamo presto.» Ashley scese dallo sgabello.

Curtis le posò una mano sul braccio. «A parte gli scherzi, Ashley. Se sei convinta che nell'incidente del tuo amico ci sia qualcosa di poco chiaro, vai a parlarne con Jake.»

«Ma è della omicidi. Il mio amico non è morto. Per ora» aggiunse piano.

«Jake sa il fatto suo» le assicurò Curtis. «È molto stimato dai colleghi. Potrebbe ottenere le risposte che cerchi molto più in fretta di te, gli basta fare qualche telefonata.»

Ashley esitò per un momento. Quel detective era odioso. Sapeva di non piacergli. Però non si trattava di lei, ma di Stuart.

«Forse hai ragione» borbottò. «Augurami buona fortuna con l'orco.»

Curtis sollevò i pollici, in segno di incoraggiamento.

Ashley afferrò il bricco del caffè e si diresse fuori. Jake Dilessio era ancora sprofondato nelle sue pratiche. Non sollevò neppure la testa mentre lei riempiva la tazza. Si limitò a mormorare: «Grazie».

Lei si sedette nella sedia di fronte e lo obbligò così a sollevare lo sguardo.

«Mi hanno detto che lei è della omicidi.»

«Sì.» Tornò ai suoi fogli.

Ashley si schiarì la gola. Dopo qualche secondo lui sollevò di nuovo la testa e lei attaccò.

«C'è stato un incidente venerdì mattina, poco dopo che sono partita. Un pedone investito in autostrada, era in mutande. Stamattina ho scoperto che si tratta di un mio amico. I giornali dicono che era pieno di eroina. Ma è impossibile, conosco Stuart troppo bene. Non può essere. Lui sviene alla sola vista di un ago.»

Aveva la sua attenzione, se non altro. La fissava con quel suo sguardo ombroso e pensieroso.

«Io sono nella omicidi. Il suo amico è vittima di un incidente stradale e a quanto sembra è stato lui a causare l'incidente. Ho letto qualcosa sui giornali. Sono sicuro che se ne stanno occupando dei poliziotti in gamba. Comunque, il fatto che uno da giovane abbia paura degli aghi non esclude che in seguito possa diventare un drogato.»

«Io so che c'è qualcosa di sbagliato in questa ricostruzione» insistette lei.

«Perché era un suo amico.» Non parlava con cattiveria, solo in modo realistico.

Lei scosse la testa. «Da dove veniva? Doveva pur arrivare da qualche parte per essere lì in mezzo all'autostrada, in mutande.»

«Sono anni che faccio il poliziotto e anni che lavoro nella omicidi. Uno dei miei primi casi fu quello di una coppia che faceva uso di cocaina ed eroina. Erano convinti di aver messo a letto il bambino appena nato. Invece lo avevano messo nel microonde e l'avevano ucciso. Non mi dimenticherò mai l'immagine di quel piccolo cadavere. Se il suo amico si drogava, può aver fatto qualsiasi cosa.»

Ashley era stufa di quelle risposte. Iniziava a trovare irritante la rapidità con cui tutti si rifugiavano nella spiegazione più semplice.

«Perché è così facile per tutti quanti limitarsi a pensare che si tratta della solita storia triste, invece di prendere in considerazione il fatto che potrebbe anche non essere andata così? Conosco Stuart. Non è diventato un tossico. È la spiegazione più ovvia, lo so, ma è sbagliata. Mi avevano detto che lei è un ottimo detective. Pensavo che fosse interessato alla verità.»

Ottenne una reazione. Lo vide stringere i fogli con più forza. «Frequenta l'accademia. Quindi saprà anche quanto è vasta la contea e quello che succede ogni giorno. Io sono della omicidi, non mi occupo di incidenti stradali. E in questo momento sono pieno di lavoro. Mi dispiace, ma anche se lo volessi non potrei aiutarla. Ci sono già altre persone incaricate del caso. Se vuole scusarmi, io avrei da fare.»

Liquidata, ancora una volta. Si alzò. «Sì, mi hanno detto che lei è una persona molto importante. Grazie per il suo tempo.»

Pochi minuti dopo era in strada, diretta da Stuart.

Stuart era ricoverato nell'ospedale della contea, dove il pronto soccorso poteva assomigliare a uno zoo, dove si rischiava di aspettare ore prima che qualcuno ti desse retta, ma dove la qualità delle cure era ottima. Se mai Ashley fosse stata ferita in modo grave, era lì che avrebbe voluto essere portata.

Un volontario le indicò la sala d'attesa della terapia intensiva.

C'erano diverse persone. Un ragazzo giovane, più o meno della sua età, con il viso nascosto dietro il giornale; una coppia sudamericana che si teneva per mano e parlava a bassa voce; una bella donna di colore sulla trentina con un bambino in braccio, che camminava avanti e indietro; una giovane che fissava la televisione e un uomo, anche lui sulla trentina, che lavorava a un computer portatile. I genitori di Stuart erano seduti vicini, con lo sguardo perso nel vuoto. Sembravano due bambini smarriti. Erano una bella coppia. Lucy Fresia era considerata la mamma più bella del loro gruppo, ma ora i suoi lineamenti erano deformati dall'angoscia. Anche Nathan Fresia aveva un'espressione esausta, sembrava che fosse invecchiato di colpo di trent'anni.

«I signori Fresia?» chiese Ashley a bassa voce.

Lucy sollevò di scatto la testa, con il terrore di chi si aspetta una brutta notizia. Guardò a lungo Ashley senza espressione, poi la riconobbe e si alzò subito dalla sedia.

«Ashley Montague» sussurrò, mentre un timido sorriso le illuminava il volto. Quindi scoppiò a piangere e allargò le braccia. «Oh, Ashley!»

Lei l'abbracciò. La sentì tremare, scossa dai singhiozzi.

Poi Lucy si staccò e cercò di asciugarsi le lacrime. «Nathan, guarda chi c'è. Ashley.»

«È bello vederti.» Nathan la strinse in un abbraccio caloroso. Non singhiozzava come la moglie, ma le sue guance erano umide.

«Stuart è stazionario, vero?»

«Oh, sì» disse Lucy. Guardò il marito. «I dottori dicono che è molto forte. Deve avere un'incredibile voglia di vivere. Adesso ci sono le infermiere con lui. Per questo siamo qui fuori. Non lo lasciamo mai solo, neppure per un minuto. Ci hanno consigliato di parlargli. Gli ho portato anche il suo libro preferito di quando era piccolo e glielo leggo. Diceva sempre che lo avrebbe letto ai suoi figli, un giorno.» Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime.

«Leggerà quel libro ai suoi bambini, Lucy» le assicurò Ashley con dolcezza.

«Sai che Stuart è in coma, vero?» disse Nathan. «Solo noi due possiamo stare con lui.»

«Potremmo dire che Ashley è una parente» propose Lucy.

«Non preoccupatevi. Quando starà meglio, troveremo il modo per farmi entrare» mormorò Ashley.

«Ma hai fatto tutta questa strada» disse Lucy.

«Non sono così lontana, e in realtà sono venuta per vedere voi. Mio zio ha chiamato l'ospedale oggi. Sapevo che non mi avrebbero fatto entrare da Stuart.»

Lucy si asciugò le guance e sorrise. «Sei venuta per noi? Sei così cara, Ashley.»

Lei ricambiò il sorriso. «Quante volte mi sono fermata a cena da voi? Quante merende mi ha preparato?»

«Comunque sei stata proprio gentile. È già abbastanza difficile vederlo lì, immobile, ferito» disse Lucy. «Ma quello che dicono... È impossibile, non può essere vero. Dovresti vedere come ci guardano. Come se fossimo dei genitori rimbambiti che non si accorgono di niente. Come se fossimo degli stupidi. Ma non è così.»

«Lucy, ti prego» mormorò Nathan.

Lucy arrossì, si era resa conto di aver alzato la voce.

Poi fissò Ashley e scosse la testa. «Dicono che fosse un drogato. Che c'erano tracce di eroina nel sangue» sussurrò. «Adesso è lì disteso, come se iosse morto. E potrebbero accusarlo dell'incidente, se torna in sé. Non siamo genitori stupidi o distratti. Ma conosco mio figlio. Però qualsiasi cosa dica ai poliziotti, o al personale dell'ospedale, non mi ascoltano, si limitano a fissarmi con quello sguardo triste e comprensivo. È vero, non sapevo tutto della vita di Stuart e non ci aveva parlato del suo nuovo progetto, ma di una cosa sono sicura: non era un drogato.»

«Lo so» disse Ashley.

Lucy le prese le mani e le strinse così forte che Ashley trasalì.

«Davvero?»

«Certo. Stuart è stato il mio migliore amico per anni.»

«Ho sentito dire che fai parte della polizia» intervenne Nathan.

«Frequento l'accademia» rispose Ashley. «Non ho ancora prestato giuramento.»

«Però sei pur sempre...»

La fissavano speranzosi.

«Vi prego, non aspettatevi molto» tenne a precisare. «Proverò a parlare con la persona che segue le indagini. Non so cosa riuscirò a fare o se scoprirò qualcosa, ma posso affermare che conoscevo bene Stuart e che non si sarebbe mai drogato di sua spontanea volontà.»

Un'infermiera apparve sulla soglia. «Signora Fresia, può tornare da suo figlio, se vuole.»

«Grazie.» Lucy guardò Ashley con un sorriso mesto. «Scusami, cara. Devo andare adesso. Ti prego, ritorna. Il fatto che tu sia venuta qui è stato molto importante per noi, credimi.»

«Tornerò senz'altro.»

«Diremo che sei una cugina» suggerì Nathan. «Forse la tua voce potrà aiutarlo. Non abbiamo intenzione di arrenderci.»

Ashley salutò Lucy, che si allontanò con l'infermiera. Esitò, poi si sedette accanto a Nathan.

«Cosa stava facendo Stuart? È passato parecchio tempo dall'ultima volta che l'ho visto.»

Nathan si fissò a lungo le mani, poi si guardò attorno.

«Hai mangiato?» chiese.

«Sì, grazie, prima di venire qui.»

«Fa lo stesso, andiamo a prendere un caffè.»

Ashley capì che non voleva parlarle in sala d'attesa e accettò. Scesero al bar dell'ospedale.

«A dire il vero, è meglio che tu non abbia fame» osservò Nathan.

«Il cibo non è un granché qui, vero?»

«Diciamo che per fortuna i medici non sono al livello dei cuochi.» Sorrise appena. «Non mi farà male dimagrire un po'.»

«Domani, quando torno, vi porto il pranzo da Nick» si offrì Ashley.

«Non devi venire domani, Ashley. Lucy e io ce la caviamo bene.»

«Mi fa piacere venire.»

«Come lo vuoi il caffè?»

«Normale, grazie.»

Nathan prese i caffè. Quando furono seduti, la guardò. «Non ho la più pallida idea di quello che stava combinando Stuart» esordì. Fissò il fondo della tazza, quasi potesse leggervi le risposte che cercava. «So che scriveva. Era quello che aveva sempre desiderato fare, benché non fosse riuscito a entrare nei giornali più importanti, come avrebbe voluto. Ma la cosa non sembrava preoccuparlo. Diceva che avrebbe scoperto storie sensazionali e che sarebbero andati a cercarlo. Riusciva a mantenersi. Certo non era ricco, ma se la cavava. Vendeva articoli a varie testate. Ha collaborato anche con In Depth.»Interruppe Ashley prima che potesse dire qualcosa. «Lo so, è un giornalaccio, di quelli che pubblicano titoli tipo: Sono stata rapita da un alieno con due teste. Però almeno pagano bene e lasciano ai reporter molta libertà. Viveva con noi, ma qualche mese fa ha annunciato che andava via per un po'. Che stava scrivendo e che non sarebbe venuto spesso a trovarci. E così ha fatto. Non lo abbiamo più visto da allora.»

Ashley si appoggiò allo schienale con espressione preoccupata. «Lo avete detto alla polizia?»

«Certo.»

«E loro continuano a pensare che si sia messo in qualche brutto giro?»

«Non so cosa pensino. Hanno promesso che indagheranno.» Passò un dito sul bordo della tazza del caffè, poi sollevò lo sguardo. «Se riesci a scoprire qualcosa, te ne saremmo molto grati.»

«Non sono neppure una recluta.»

«Ma hai degli amici nelle alte sfere?» chiese speranzoso.

«Sì, qualcuno. Giuro che farò tutto il possibile.»

«Andiamo adesso» disse d'un tratto Nathan, in tono arrabbiato.

«Che succede?» Ashley si guardò attorno. Poi notò l'uomo che doveva aver agitato Nathan. Era lo stesso che era nascosto dietro al quotidiano in sala d'attesa. Capelli scuri, occhi chiari, sembrava un tipo normale.

«Quella sanguisuga, un altro aspirante reporter. Sostiene che conosceva Stuart. Ma non sa dirci niente. La polizia lo ha interrogato e lui se ne è uscito con una serie di storie sconclusionate. L'unico risultato che ha ottenuto è stato far infuriare parecchie persone importanti, che così poi non hanno voluto credere alla nostra versione. I giornalisti sono stati orribili, hanno cercato di dimostrare che eravamo genitori inadeguati e che Stuart era caduto nella droga a causa dell'ambiente familiare in cui era cresciuto. Quel tizio adesso vuole scrivere un pezzo su di noi e io non ho nessuna intenzione di trasformare la storia di Stuart in un articolo da prima pagina.»

Ashley si alzò insieme a Nathan. Quando furono in corridoio, lei gli assicurò che sarebbe tornata la sera dopo.

«Ti prego, sali solo per un minuto. Sono sicuro che in qualche modo riusciremo a farti entrare.»

Tornò di sopra con Nathan. Raggiunsero la camera di Stuart e guardarono attraverso il vetro. Lucy era accanto al letto e gli teneva la mano.

Ashley fu sul punto di piangere quando vide l'amico in quelle condizioni. Era collegato a diversi monitor. Aveva tubi nel naso e in bocca. E una flebo al braccio. Il viso era bluastro e gonfio. La testa era fasciata.

Lucy li vide. Si alzò e li raggiunse. «Ti procuro un camice, Ashley, poi potrai entrare per qualche minuto.» Quindi bisbigliò: «Ho detto che sei mia nipote, la nostra parente più stretta. Entra, cara. Parla con Stuart».

Ashley annuì, capì quanto fosse importante per Lucy. In realtà sapeva che Stuart non si sarebbe neppure accorto di lei.

Si sedette accanto a lui e gli prese la mano. Era gelata. All'inizio fu difficile, ma poi iniziò a parlargli. «Ascoltami, devi resistere campione, non mollare. Puoi avere il meglio che esista al mondo e hai dei genitori magnifici. Mi piace credere che i miei sarebbero stati come loro.

Sappi che ho intenzione di scoprire cosa diavolo stavi combinando. So che non sei un drogato e lo proverò, lo giuro.»

Le parve di aver sentito una stretta. Molto leggera. Fissò i monitor. Non sapeva come leggerli, ma non notò nulla di diverso.

Anche Stuart non dava nessun segno. Respirava tranquillo con l'aiuto delle macchine.

Eppure...

Aveva sentito qualcosa? Forse avevano ragione, forse Stuart riusciva a sentirla.

Decise di non dire niente a nessuno. Non voleva illudere Lucy o Nathan con false speranze.

Si alzò, lo baciò sulla fronte e gli bisbigliò che era stata una pessima amica, ma che gli voleva bene.

Guardò attraverso il vetro. Lucy e Nathan non c'erano. L'infermiera la notò, entrò e le disse che i signori Fresia erano in sala d'aspetto, a parlare con un poliziotto.

Quando Ashley li vide da lontano, per poco non le venne un colpo.

Il poliziotto che parlava con loro era il detective Dilessio.

 

8

 

Dilessio la salutò molto serio. Lucy si voltò con la parola speranza stampata sul viso.

«Grazie Ashley, grazie mille. Hai usato la tua posizione per far seguire meglio il nostro caso» disse Lucy.

Ashley avvampò. Non aveva alcuna posizione ed era più sorpresa di loro di vedere lì il detective.

«Non vi prometto niente» borbottò Dilessio. «Parlerò con i miei colleghi e farò tutto il possibile per scoprire perché vostro figlio si trovava sull'autostrada. Vi terrò al corrente. Ma dovete prepararvi al fatto che forse le risposte non saranno quelle che sperate.»

Lucy sorrise. In quel momento sembrava molto forte. «Detective Dilessio, tutte le persone che ho incontrato finora si sono limitate a guardarmi con compassione, come una mamma che non vuole rassegnarsi all'evidenza. Io e mio marito abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto con nostro figlio. Continuerò a credere in lui fino a quando non sarà dimostrato il contrario. E continuerò a credere con tutta me stessa che ce la farà, che uscirà dal coma e che a quel punto sapremo la verità.»

«Condivido le vostre speranze» disse Dilessio. «E mi auguro che abbiate ragione. Ammiro la vostra fiducia.» Ashley era stupitissima. «Sta andando a casa signorina Montague?»

«Io? Sì.» Rivolse un sorriso di scusa a Lucy e Nathan. «Domattina ho la sveglia presto, devo proprio andare.»

«Bene, così posso scroccare un passaggio» annunciò Dilessio.

Doveva proprio avere un'aria stupita, perché Dilessio si affrettò a spiegare: «Il mio collega, Marty, mi ha accompagnato qui e se n'è andato».

«Oh. Certo che posso accompagnarla.»

Nathan la baciò su una guancia. «Grazie di essere venuta.»

«Tornerò.»

«Ma sei così impegnata e poi qui non puoi fare molto» disse Lucy.

«Posso esserci» mormorò Ashley. Abbracciò rapida Lucy. «Bene, detective, se lei è pronto...»

«Buonanotte» borbottò Dilessio rivolto ai Fresia.

«Ancora grazie. Grazie davvero» gli disse Lucy.

Ashley accelerò il passo per stare dietro a Dilessio.

Si voltò e vide che i Fresia li guardavano ancora. Nathan teneva un braccio sulle spalle della moglie, un gesto protettivo. Nonostante quello che stavano attraversando, Ashley provò una fitta di invidia per loro. Erano sposati da tanti anni ed erano uniti da un legame così forte e solido che li avrebbe aiutati a superare qualunque cosa.

Li salutò con la mano e si voltò. Nel farlo, sfiorò Dilessio. S'irrigidì e prese di nuovo le distanze.

«Una bella coppia» osservò lui.

«Molto. Stavo pensando...» S'interruppe e arrossì. Si diede della stupida.

«A cosa?»

Si strinse nelle spalle. Non rispondere avrebbe peggiorato la situazione. «Non so. Di questi tempi il matrimonio non viene considerato molto, però loro due possono sempre contare l'uno sull'altro.»

Lui continuò a camminare. Per un attimo Ashley pensò che non le avrebbe risposto, che aveva sbagliato ad aprirsi tanto con un uomo che conosceva appena.

«Non so. Anche i miei genitori erano molto uniti.»

«Erano?»

«Mia madre è morta qualche anno fa. Adesso mio padre vive come un cucciolo smarrito. Ho visto alcune coppie felici.» Si strinse nelle spalle. «E ne ho viste altre decisamente pessime. I Fresia mi sembrano persone gentili, molto affezionati al figlio e innamorati.»

«Lo sono, e se conoscesse Stuart...»

«Li ho avvertiti. Può anche essere che Stuart sia finito in qualche brutto giro.»

«Sono sicura che non è così.»

«Davvero?» Si fermò e la fissò. «Allora secondo lei come è andata?»

Ashley si bloccò e sollevò appena il mento. Non tollerava quell'aria di superiorità.

«Partiamo dalle cose che conosciamo, detective. È comparso all'improvviso, a piedi, su un'autostrada a cinque corsie. Deve pur essere arrivato da qualche parte, non le pare?»

«Giusto. Da una casa, un appartamento vicino all'autostrada. Oppure da una macchina.»

«Esatto. Ma se abitava da quelle parti è facile che qualcuno lo abbia visto andarsene in giro in mutande. Sono sicura che l'investigatore avrà già interrogato i vicini. Forse qualcuno si farà avanti. Saremo anche a Miami, ma la gente non se ne va a zonzo in mutande tutti i giorni. Secondo me era in auto. E qualcuno l'ha fatto scendere o l'ha spinto fuori.»

«Bene, signorina Montague, la penso allo stesso modo. Forse c'è stato un litigio, lui era drogato, è sceso e ha cominciato a camminare. Forse era con il suo spacciatore, e in questo caso il tizio non si sarebbe certo fermato per vedere cosa gli succedeva.»

«Oppure qualcuno lo ha buttato fuori in mezzo all'autostrada con la speranza che venisse ucciso.»

«Ci sono assassini che sperano che la vittima verrà uccisa?»

Ashley tenne duro sulla sua posizione. «Non mi sembra un'ipotesi tanto assurda.»

Dilessio riprese a camminare e lei lo seguì. «Deve aver intuito anche lei che c'è qualcosa che non quadra, altrimenti non sarebbe venuto qui.»

Il detective si fermò di nuovo. «C'è qualcosa di strano in questa storia. Ma quando ho detto che sono molto occupato non l'ho fatto solo per darmi delle arie. Parlerò con Carnegie, è lui a capo dell'inchiesta, e vedrò di scoprire qualcosa. Però si ricordi bene una cosa: lei non è un poliziotto. È ancora all'accademia. Non giochi a fare il detective, d'accordo? Non ha abbastanza esperienza e potrebbe mettersi nei guai.»

«Allora» disse trionfante, «anche lei pensa che...»

Jake si fermò di nuovo, irritato. «Io penso che se il suo amico era coinvolto in qualche giro di droga, potrebbe essere finito nei pasticci. Siamo a Miami. Dove c'è droga c'è delinquenza. Se vuole aiutare il suo amico, lo vada a trovare quando può, ma continui a studiare e lasci che sia la polizia a condurre le indagini.»

«Sissignore.» Lo superò e aprì la porta del garage dell'ospedale. «Ma visto che i bravi poliziotti sono molto occupati e che nessuno è disposto a credere in Stuart, c'era bisogno di una spintarella. È quello che ho fatto.»

«Carnegie è in gamba» dichiarò Jake in tono inespressivo. «Ascolti, Ashley, non mi sembra poi tanto strano che tutti pensino che Stuart fosse un drogato, visto che era pieno di eroina. Forse quello che dice è vero. Se è così lo scopriremo. Non siamo dei maghi, ma arriviamo alla verità anche nei casi più difficili, quasi sempre. Le dispiace darci un po' di fiducia?»

«Certo» rispose rigida. Aprì l'auto con il telecomando.

Si sedette dietro il volante. La presenza di Dilessio la innervosiva. Si fermò a uno stop con un sobbalzo.

Imbarazzata, cercò di rompere il pesante silenzio che si era creato nell'auto. «Come si trova al porticciolo?»

«Benissimo. Non sono granché in cucina ed è comodo avere un ristorante così vicino.»

«Mi sembra di aver capito che conosce Nick da molto tempo.»

«Sette od otto anni.»

«Strano che non ci siamo mai parlati prima. Veniva spesso da Nick?»

Si strinse nelle spalle. «La domenica pomeriggio, ma non molto spesso.»

«Conosco quasi tutti i poliziotti che frequentano il ristorante. Quando ho fatto domanda per entrare in polizia sono stati molto gentili. Mi stupisce che Nick non mi abbia consigliato di parlare con lei.»

«Forse non c'ero, e se ci fossi stato probabilmente l'avrei scoraggiata.»

«Davvero?»

Non rispose. Sembrava quasi un essere umano. Adesso.

«Crede che non sia un lavoro da donne?»

«Non ho detto questo.»

«Allora cosa voleva dire?» insistette.

Si voltò verso di lei. La osservò con attenzione, fra i riflessi colorati dei semafori e dei fari delle altre auto. «Forse non è il tipo adatto» disse. «È una che non molla.»

«Pensavo che fosse una qualità.»

«Sì, se la tenacia è unita alla pazienza. Il nostro è un lavoro di squadra. Lei non sembra il tipo che passa la palla a un altro giocatore.»

«In che senso?»

«Nel senso che non deve ficcare il naso in questa indagine. E non deve aggirarsi in quartieri malfamati alla ricerca dell'indizio che risolverà il caso. Non è ancora pronta per questo lavoro. Lasci che ci pensi chi è in grado di farlo. E impari a fidarsi.»

Ashley non smise di fissare la strada. «È quello che fa lei, giusto? È per questo che continua a lavorare anche mentre cena.»

«Sono anni che mi occupo di questo caso» borbottò. «Ha mancato l'uscita.»

«Forse voglio fare un'altra strada» rispose, sulla difensiva. Ma aveva ragione lui. Aveva mancato l'uscita.

Meglio ammetterlo e tornare indietro. Così fece. Lui non aprì bocca.

Alla fine arrivarono da Nick. Ashley parcheggiò nel posto riservato e scesero dall'auto.

«Bene» disse, un po' rigida. «La ringrazio per aver trovato il tempo di venire all'ospedale.»

Dilessio annuì. «Parlerò con Carnegie e gli spiegherò che quel ragazzo non era il tipo da cacciarsi da solo in un pasticcio del genere. Forse mi saprà dare qualche informazione.»

«Grazie. E, detective...»

«Sì?»

«Stuart non è un ragazzo. Ha venticinque anni ed è sempre stato un tipo responsabile.»

«Sicuro, buonanotte.»

La salutò e si avviò verso la barca. Ashley lo guardò allontanarsi.

Era stanca, spossata e più inquieta che mai per Stuart. Entrò e attraversò la cucina privata sperando di non incontrare nessuno. Non aveva voglia di parlare, neppure con Nick.

La casa era vuota. Sentì la musica e le voci che provenivano dal ristorante. Nick doveva essere ancora impegnato con i clienti.

Una volta in camera, Ashley accese la televisione e mentre ascoltava il notiziario si spazzolò i capelli, si lavò il viso e si preparò per andare a dormire. Il conduttore passò alle notizie locali: un grave incidente stradale, un cantante rock arrestato per possesso di droga, due produttori coinvolti in una rissa in un club.

Ancora nessuna pista per la vittima ritrovata sabato, anche se la polizia stava facendo tutto il possibile per scoprirne l'identità. Il medico legale e la squadra omicidi avevano diramato la notizia che la donna era stata uccisa con modalità molto simili agli omicidi di cinque anni prima.

Ashley posò lo spazzolino da denti e uscì dal bagno. Sedette ai piedi del letto e guardò il resto del telegiornale. Consigliarono alle donne di stare molto attente, anche se gli omicidi erano legati a una setta ormai estinta e quindi non sembrava esserci un immediato pericolo.

Riportarono i commenti di alcuni cittadini, insoddisfatti per il modo in cui la polizia e la magistratura avevano condotto il caso. Si erano fidati della confessione di un vagabondo che si era addossato la responsabilità dei crimini e poi si era suicidato.

Quindi parlarono dei sospetti su Peter Bordon, conosciuto anche come Papa Pierre. Le vittime degli omicidi precedenti erano tutte legate alla setta di cui era il capo, ma Bordon aveva negato ogni coinvolgimento. Attualmente si trovava in una prigione federale per frode ed evasione fiscale.

Quando passarono alle previsioni del tempo per annunciare un miglioramento, Ashley spense la televisione e, quasi senza accorgersene, uscì dall'ingresso privato e rimase a guardare le barche nel porto. Alla fine del pontile individuò la Gwendolyn.

La barca del detective Dilessio.

Si occupava del nuovo caso di omicidio. Probabilmente per questo era così irascibile. Forse era solo troppo stressato.

La ragazza delle previsioni aveva ragione. Era una notte magnifica, la brezza fresca che si levava dal mare rendeva l'aria mite e piacevole. Ashley rimase fuori per un po', ma si ritrasse quando vide una sagoma emergere a prua dell'imbarcazione.

Dilessio.

Ashley si spostò in un punto meno illuminato, dove sperava che lui non potesse vederla. Si chiese che cosa stesse facendo. Forse anche lui aveva ascoltato le previsioni ed era uscito a godersi la serata. Era a torso nudo, indossava solo i calzoncini.

Sarebbe rimasta sulla porta per ore, a guardarlo. La luce della luna sembrava smorzare i suoi tratti più cupi, conferendogli un'aria nostalgica e vulnerabile. Era ancora più affascinante.

Alla fine si obbligò a rientrare e a chiudere la porta a chiave. Cosa le veniva in mente?

Per qualche ragione non riusciva a smettere di pensare a lui. Si ricordò di quello che le aveva detto Karen, quando avevano parlato di sesso e del bisogno di conoscere l'altra persona.

Non si poteva certo dire che lo avesse appena incontrato, ma certo non lo conosceva bene.

Eppure, era attratta da lui. Troppo. Forse non era altro che uno sciocco arrogante. Senza contare il fatto che lei era ancora all'accademia e lui era un detective. Era la cosa più stupida che le fosse mai capitato di pensare.

Ma non si trattava solo di immaginazione. Era stata seduta accanto a lui in macchina e per tutto il tempo aveva avuto le mani sudate. E non perché lui fosse un detective. Perché le era seduto vicino.

Lo rivide sulla barca, a torso nudo.

D'accordo, era un uomo attraente. Lei conduceva una vita noiosa, lavoro, studio, lavoro, studio. E lui aveva quello sguardo, quella voce.

Guardò l'ora. Era tardi e la sveglia avrebbe suonato prima delle sei. Non voleva essere troppo stanca per riuscire a seguire bene la lezione.

Si sdraiò a letto, senza dimenticare che l'uomo che riusciva a farla infuriare e a turbarla più di chiunque altro era lì, a pochi metri di distanza.

 

Jake non chiudeva sempre a chiave la porta della cabina della Gwendolyn, ma quella sera avrebbe potuto giurare di averlo fatto. Quando però era tornato e aveva inserito la chiave nella serratura, aveva scoperto che la porta era aperta.

Rimase immobile per qualche minuto, in ascolto, ma sentì solo lo sciabordare del mare contro lo scafo e i rumori del bar in lontananza. Sfilò la pistola dalla fondina, si appiattì contro la parete esterna e spalancò la porta.

Niente.

Entrò lentamente. Il soggiorno, la cambusa, la zona pranzo. Tutto deserto. Controllò le cabine, il piccolo bagno, gli armadi, ogni nascondiglio. Niente.

Niente, tranne una sensazione. Qualcuno era stato lì.

Si fermò alla scrivania, perplesso. All'apparenza era tutto in ordine. C'erano il computer portatile e una piccola stampante, che ingombravano il poco spazio disponibile. Aprì i cassetti dove teneva le pratiche dei casi in corso, sembrava tutto a posto. Il computer era spento, come l'aveva lasciato.

Sembrava che non ci fosse niente fuori posto. Eppure c'era qualcosa di diverso.

Non avrebbe saputo spiegarlo, ma provava la netta sensazione che il suo spazio fosse stato violato. Chiuse la porta, con due giri di chiave. Andò in cabina, si spogliò e restò in calzoncini. Si sedette alla scrivania e accese il computer. Aprì le vecchie pratiche che non aveva mai smesso di rileggere. Ebbe di nuovo l'impressione che qualcuno avesse aperto i suoi file. Eppure era tutto come l'aveva lasciato.

Uscì all'aperto e si fermò sul ponte a scrutare il pontile e le file di barche. Tutto tranquillo. Da Nick c'era ancora la luce accesa.

Anche se era a piedi nudi e mezzo svestito, saltò sul pontile e raggiunse il bar. C'era il cartello CHIUSO, ma la porta era ancora aperta. Entrò e trovò Nick dietro al bancone che puliva il vecchio ripiano di legno. Alcuni clienti bevevano l'ultimo caffè. A una cert'ora Nick smetteva di servire liquori, era la sua politica, non voleva essere responsabile di guidatori ubriachi. Il juke-box suonava una vecchia canzone. Jake si avvicinò a Nick.

«Jake, ciao. Cosa ti serve?» chiese Nick, sorpreso di vederlo. Poi aggiunse, fra il serio e il divertito: «E la camicia e le scarpe dove sono? È la legge qui in Florida, lo sai».

«Hai ragione, scusa» disse Jake. «Nick, ho bisogno di chiederti una cosa. È molto importante. Sai quella chiave che ti ho dato? L'hai per caso usata stasera, per qualche ragione?»

Nick fece cenno di no. «C'è stata gente stasera. Non mi sono mosso da qui.»

«So che è una domanda strana, ma... sei certo che sia in un luogo sicuro?»

«Assolutamente sì.»

«Non è in un posto accessibile al pubblico?»

«Ehi, voi» disse Nick, rivolto ai pochi clienti rimasti. «Grazie per essere venuti, ma è ora di andare.»

Jake aspettò che Nick facesse uscire l'ultimo cliente. Quando la porta fu chiusa, Nick borbottò: «Vieni in casa. Vado a controllare che la chiave sia dove l'ho lasciata».

Nick gli fece strada dietro al bar, fino al soggiorno. La stanza era illuminata dalle fioche luci notturne.

«Qualcosa che non va alla barca?» chiese Nick.

«No, non proprio.»

«Dammi soltanto un minuto.»

«È solo che ho avuto la sensazione che qualcuno sia stato sulla Gwendolyn» disse Jake. «Avrei giurato di aver chiuso quando sono uscito, ma al mio ritorno la porta era aperta. Non manca niente, forse è solo la mia immaginazione. Forse mi sono semplicemente dimenticato di chiudere.» Ma dal tono della sua voce era chiaro che non lo credeva possibile. «Ho visto la luce accesa e ho pensato di venire a chiederti della chiave.»

«Nessun problema. E se per caso preferisci che io non abbia una copia...»

«No. Anzi sono contento che tu ce l'abbia, per gli operai, le consegne, qualunque cosa. Volevo solo accertarmi che fosse ancora qui.»

«Sono sicuro di sì. I clienti non possono entrare in casa. Ma controllare non costa niente. Non fare complimenti, se vuoi qualcosa da bere serviti pure, sai dov'è la cucina.»

«Grazie.»

Nick uscì dalla stanza.

 

Il sonno di Ashley era tormentato dai sogni. Stuart. Stuart che le parlava, in mutande, come se fosse la cosa più normale del mondo.

Poi Stuart svanì.

Dilessio. Di nuovo lui. Avvolto in una luce argentata. Erano sul ponte della barca e lei gli parlava.

Si svegliò di colpo. Sudata fradicia. Si alzò a sedere sul letto. Cercò di capire che cosa l'avesse svegliata.

Era tardi. Dal bar non proveniva alcun suono.

Si alzò. Si avvicinò alla finestra accanto alla porta e guardò fuori. I pontili erano deserti, le barche rollavano piano agli ormeggi.

Nervosa, a piedi nudi, Ashley andò alla porta, la aprì e rimase in ascolto. Niente.

Il bar era chiuso. Probabilmente Nick era andato a letto.

Niente. Eppure...

Un rumore. Solo un rumore. Un fruscio, da qualche parte nella casa.

Entrò in soggiorno. Nick non lasciava mai la stanza completamente al buio. Le luci notturne proiettavano ombre inquietanti. Anche i pesci impagliati appesi al muro sembravano minacciosi.

Ancora quel rumore.

Proveniva dalla cucina. Vi si diresse in punta di piedi e si accucciò dietro al bancone, in ascolto. Poteva essere Nick. O Sharon. Ma perché avrebbero dovuto muoversi in modo così furtivo in casa loro?

Continuò ad avanzare al riparo del bancone fino ad avere una visuale completa della stanza.

Si accorse troppo tardi che c'era qualcuno alle sue spalle. Doveva essersi mosso senza fare rumore. Come lei. Si sentì afferrare con violenza ai fianchi. Un grido le salì alla gola.

«Chi sei? Che cosa ci fai qui?»

Cercò di girarsi e di lottare, ma perse l'equilibrio e cadde. L'assalitore fu sopra di lei. Ashley indossava solo la maglietta che usava come camicia da notte e si accorse che le era salita fino ai fianchi.

Prima che riuscisse a divincolarsi, di colpo si accesero le luci della cucina.

«Cosa diavolo...?»

Era la voce di Nick. Ashley si ritrovò a fissare a distanza ravvicinata il loro nuovo vicino, nonché il protagonista del suo sogno: il detective Jake Dilessio.

Si accorse con soddisfazione che era imbarazzato almeno quanto lei. Per un attimo restarono così, quasi abbracciati.

Poi lui si alzò in fretta e le tese la mano.

Non era nudo, ma ci mancava poco. Indossava solo quei calzoncini.

Ashley sentì una vampata di calore percorrerle tutto il corpo, dal viso in fiamme alla punta dei piedi.

«Ho pensato che qualcuno si fosse introdotto in casa di nascosto» si giustificò il detective.

«Anch'io.» Ashley lo guardò dritto negli occhi.

«E non è venuto in mente a nessuno dei due di provare a chiamare?» chiese Nick.

«Ma se ci fosse stato davvero qualcuno che si aggirava furtivo per la casa...» iniziò Ashley.

«Magari nascosto dietro il bancone...» aggiunse Jake, con un'espressione a metà tra il divertito e il rimprovero.

«Io vivo qui» gli ricordò Ashley. «Lei invece...»

«Era con me» disse Nick.

«Ma era in cucina, e tu non c'eri» precisò Ashley.

«Nick mi aveva detto di servirmi da bere» la informò Jake. «Stavo per versarmi un bicchiere di tè freddo.»

«Poliziotti» mormorò Nick con un sospiro. «Vedono ombre e misteri ovunque.» Scosse la testa come se fosse perplesso dalla loro diversità. «Mettiamo su l'acqua. Credo proprio che abbiamo bisogno tutti di un buon tè. Io lo prenderò leggero, ho intenzione di dormire stanotte.»

Si avvicinò ai fornelli. Ashley e Jake erano ancora molto vicini. Ashley si allontanò di un passo. Di colpo si rese conto che avrebbe voluto indossare qualcosa di più dignitoso di quella maglietta dell'ultimo concerto a cui era andata. Le copriva a malapena le cosce.

«Dovrei andare a mettermi una vestaglia» mormorò.

«Nick, forse è meglio che io me ne torni sulla Gwendolyn» borbottò Jake. «Hai controllato per quella cosa che ti ho chiesto?»

«Sì.» Nick infilò una mano in tasca e tirò fuori una chiave. «Era proprio dove l'avevo messa.»

Perplessa, Ashley fissò Jake. Ma non sembrava disposto a fornire spiegazioni.

«Ci sono altre copie in giro?» chiese Nick.

«No» affermò Jake. Poi esitò. «In realtà... sì. L'avevo dimenticato. È passato tanto tempo. Ma sì, hai ragione. Ce n'è un'altra copia.»

Aveva un'espressione dura e impenetrabile. Bastava guardarlo per far passare la voglia a chiunque di infastidirlo.

«Prendi tu le tazze, Ashley?» chiese Nick.

Mentre lei andava all'armadietto, Sharon entrò in cucina sbadigliando e stiracchiandosi. Camicia da notte e vestaglia di seta. Senza un filo di trucco, capelli appena scompigliati. Semplicemente perfetta. Ashley invece sapeva di avere i capelli tutti arruffati. Per non parlare della maglietta.

«C'è una festa qui?» chiese Sharon, sorridendo senza capire.

«Solo un tè» rispose Nick. La baciò sulla fronte. «Mi dispiace di averti svegliata. Poliziotti. Fanno di tutto una tragedia. Sai com'è.»

«Poliziotti? C'è qualche problema?» chiese.

«No, solo mancanza di comunicazione» disse Nick con un sorriso. «Così adesso siamo tutti svegli.»

«Niente di grave per me. Il primo appuntamento di domani è alle undici. Ma tu, Ashley» disse in tono preoccupato, «devi essere a lezione alle sette.»

«Oh, lei non ha problemi. Stamattina mi ha fatto sapere che è giovane abbastanza e che non ha bisogno di dormire» commentò Nick allegro.

«Io mi preparo un latte caldo» annunciò Sharon. «Qualcuno vuole una cioccolata? Jake?»

«No, grazie. Io vado.»

«L'acqua bolle e ormai siamo tutti qui» insistette Sharon.

«Allora resto, un tè normale, grazie.»

«Ecco il tè. E il tuo, Ashley. Qui ci sono lo zucchero e il latte. Le piace molto zuccherato» disse Sharon a Jake, con un sorriso.

«Due poliziotti» brontolò Nick mentre prendeva la sua tazza. «È andata bene che non vi siete sparati addosso.»

«A proposito di lavoro, Jake» intervenne Sharon, «sei stato gentile ad andare all'ospedale. Era il tuo compagno quello che è venuto qui a prenderti? Marty, giusto?»

«Viene qui ogni tanto e chiacchiera con Sandy. Sandy adora tenersi al corrente su quello che accade in città» spiegò Nick.

«Sandy è in gamba» rispose Jake.

«Puoi fare qualcosa per l'amico di Ashley?» chiese Sharon.

«Chiederò in giro e vedrò di scoprire a che punto sono le indagini» rispose Jake. «Ma non me ne occupo io, non è neppure nella mia zona.»

«Sei comunque gentile a interessartene.» Sharon sbadigliò. Poi guardò Nick con affetto. «Ce n'era di gente stasera. A proposito, Ashley, sono venuti dei tuoi amici a cercarti.»

Ashley pensò subito a Karen e Jan. Si era dimenticata di chiamarle per dire loro delle condizioni di Stuart.

«Erano dell'accademia» aggiunse Sharon.

«No, uno è già un poliziotto» la corresse Nick. «Come si chiama? Len Green, credo. Agente Green. È venuto con quel bel ragazzo nero, Arne.»

«Cosa volevano?» chiese Ashley.

«Hamburger» disse Nick.

«Non intendevo...»

«Hanno chiesto di te» le spiegò Sharon. «Gli ho detto che eri all'ospedale a trovare un amico.»

«Grazie. Li vedrò domani a lezione. Almeno Arne. Se era qualcosa di importante me lo dirà.»

«Sembravano simpatici» commentò Sharon. «Anche loro hanno chiacchierato un po' con Sandy. Si è divertito.»

«Bene» mormorò Ashley. La metteva a disagio il fatto che il detective Dilessio stesse ascoltando la conversazione.

«Grazie per il tè e scusate il disturbo.» Jake posò la tazza vuota. «Buonanotte a tutti, vi lascio andare a dormire.»

Quando fu quasi sulla porta si voltò. Ashley per un attimo sperò che volesse scusarsi per averla aggredita.

«Vedrò cosa riesco a fare per il suo amico» disse.

«Grazie.»

Poi uscì. Nick si alzò per chiudere a chiave la porta.

«Forse è meglio che io vada a dormire» bofonchiò Ashley.

«Sì, penso anch'io. Buonanotte cara» disse Sharon.

Ashley mandò un bacio a Nick e andò in camera.

Si chiese perché Nick avesse fatto entrare Jake in casa a quell'ora della notte.

Si buttò a letto, ma si rialzò subito e andò alla finestra. Guardò fuori.

Il detective era sul ponte della barca. Di nuovo. Mani sui fianchi, sguardo fisso verso il bar.

Ashley si chiese perché.

Lo osservò per qualche secondo.

Poi si riprese. No, non poteva essere attratta da lui. Fosse anche stato l'ultimo uomo sulla faccia della terra.

Però lo era. Poteva ancora sentire il suo corpo contro di sé, in quell'abbraccio forsennato sul pavimento della cucina.

Fra i suoi amici, lei era quella con più senso pratico. Se ti fa male, non farlo. Non fumare. Perché cominciare se sai già che fa male? Non provarci con un uomo se sai già che non fa per te. Basta non iniziare.

Non aveva ancora iniziato niente.

Tornò a letto e accese la televisione. Poi finalmente lei si riaddormentò. Ma non fu un sonno sereno e ristoratore. Fece di nuovo lo stesso sogno.

Era ancora lì, sulla barca di Jake.

Voleva parlargli di qualcosa di molto importante, però non riusciva a ricordare cosa.

Il suono della sveglia la riportò nel mondo reale.

Ma ricordava bene il sogno.

Si sentiva uno straccio, come se non avesse chiuso occhio.

Sarebbe stata una giornata terribile.

 

9

 

La stanza non era piccola, ma era soffocante. Le pareti erano dipinte in due tonalità di verde, verde ospedale. Un tavolo e due sedie, non c'era nient'altro.

Peter Bordon e Jake erano seduti di fronte, ai due lati del tavolo. Fuori dalla porta c'era una guardia, ma Jake non avrebbe avuto bisogno di chiamarla. Bordon non pesava più di ottanta chili e non era muscoloso.

I suoi occhi però, anche dopo tanto tempo, conservavano uno strano potere. Erano terrificanti. Davano i brividi. Quando aveva visto Jake e la guardia lo aveva avvisato che sarebbe rimasta fuori dalla porta, aveva sorriso divertito.

«Credo che non sappia che sei stato tu a prendermi a botte» disse Bordon.

«Non ti ho preso a botte» replicò Jake, gelido.

Bordon inclinò la testa da un lato. «Scusa, è vero, mi hai strangolato.»

«Mi sembri vivo e vegeto.»

«Sto bene. Molto bene, grazie.»

Solo qualche filo di grigio fra i capelli castano chiaro. Gli occhi erano color nocciola e sembrava che Bordon riuscisse a renderli più chiari o più scuri a suo piacere. Aveva la capacità di fissare una persona in modo quasi ipnotico. Parlava a bassa voce, ma con un'intensità e una forza tali che poteva essere sentito anche a grande distanza.

«Forse non dovrei darti del tu. Ti dà fastidio che ti chiami Jake? Preferisci che ti chiami detective Dilessio? È che ormai penso di conoscerti bene. So che ti farebbe piacere vedermi morire di una malattia lenta e dolorosa, magari soffocato dal mio stesso vomito. Hai tanta rabbia e tanto odio nel cuore. Ma ti perdono.»

«Me ne sbatto del tuo perdono» sibilò Jake a denti stretti.

Bordon lo stava stuzzicando, era bravo in questo. Jake si ripromise di non raccogliere le provocazioni.

Infilò una mano in tasca ed estrasse una foto dell'ultima ragazza morta. La fece scivolare davanti a Bordon. «Come è morta, Bordon? E perché?»

Bordon guardò con calma la fotografia, poi di nuovo Jake. Si fece lentamente il segno della croce.

«È ovvio che è stata assassinata, altrimenti non saresti qui. Non so perché. Comunque pregherò per la sua anima.»

«Le hanno tagliato la gola, le orecchie e la punta delle dita. Ha sofferto a lungo prima di morire. Come le donne morte cinque anni fa.»

«Io non ho mai ucciso nessuno.»

«Ma l'ordine è partito da te.»

«No, detective, ti sbagli. Non ordinerei mai a un essere umano di togliere la vita a un altro essere umano.»

Jake scosse la testa. «Anche se non siamo riusciti a provarlo, sanno tutti che sei tu il responsabile degli omicidi.»

«Forse le donne che sono morte mi avevano fatto arrabbiare, forse non mi piacevano, e anche se non lasciavo mai trapelare i miei sentimenti, forse qualcuno ha capito quanto quelle donne mi avessero deluso ed è per questo che sono morte.»

Jake si sporse in avanti. «Papa Pierre. È così che ti chiamavano. Tutti quegli stupidi e quei disperati che avevi attorno, che pendevano dalle tue labbra, dalle tue prediche, dalla speranza dell'immortalità per coloro che seguivano la Parola. Per coloro che davano tutto ciò che possedevano alla chiesa, la tua chiesa, e che consegnavano se stessi, in ogni senso, a te.»

Bordon all'improvviso divenne serio, lo sguardo ipnotico e la voce suadente svanirono. «Ho ridotto sul lastrico diverse persone. Sono colpevole di frode ed evasione fiscale. Sto scontando la pena. E sì, ho avuto rapporti sessuali con alcune donne. D'accordo. Molte donne. Molte, bellissime donne. Sei invidioso, Jake? Non dovresti. Trasudi testosterone. Credo che le donne ti si buttino addosso non appena ti vedono. Non mi invidiare per un po' di divertimento carnale. Sappiamo entrambi che nessuna legge condanna il sesso fra adulti consenzienti.»

Jake si appoggiò allo schienale. Bordon non si era scomposto neppure un poco. Aveva parlato, aveva detto menzogne, ma era rimasto calmo e sereno. Jake incontrò il suo sguardo. Vi fu un lungo momento di silenzio.

«Cosa è successo a Nancy?» chiese Jake, a voce bassa e implacabile.

Bordon lo guardò e scosse la testa. «Jake, Jake, Jake. Sembri un vecchio grammofono rotto. Era la tua collega, ma non era con te quando sei venuto a tormentarmi. Comunque sapevo chi era. Un mago del computer, o sbaglio? Al processo è saltato fuori che l'idea di indagarmi per crimini diversi dall'omicidio era stata sua. Non so cosa le sia successo. So solo che è stata trovata dentro la sua auto in fondo a un canale. Torna in te. Sono un uomo intelligente, Jake. Riesco a leggere fra le righe. So cosa c'era fra voi due. Ho costruito un impero sulla mia abilità di comprendere le fragilità delle persone. Vieni fin qui come un poliziotto serio e determinato a fare giustizia, hai paura che la vittima sia solo la prima di una nuova serie... Ma non te ne frega un cazzo di quella ragazza, giusto? Dopo tutto questo tempo, hai solo voglia di afferrarmi alla gola e di ammazzarmi, perché forse così potresti credere che la tua amante non si è uccisa perché era infelice, perché non sopportava più la sua vita, divisa tra un marito infedele e te.»

Jake riuscì a non perdere il controllo. «Nancy non si è uccisa, Bordon. Era la mia collega, non la mia amante, ma non è questo il punto. Era una donna forte e non si sarebbe mai tolta la vita per me, per il marito o per un altro uomo. È stata uccisa. E non mi importa quello che dici, sono convinto che tu l'abbia fatta ammazzare perché aveva scoperto qualcosa. Che cosa aveva scoperto? Qualunque cosa fosse, è la chiave di quello che sta succedendo adesso. E lo sappiamo tutti e due.»

«Che cosa sta succedendo adesso? A parte il fatto che ti ritrovi con un nuovo cadavere per le mani?»

«C'è sotto dell'altro, qualcosa che finora ci è sfuggito. Sono convinto che tu sappia molto di più di quello che hai detto finora.»

«È morta un'altra ragazza. Che cosa ti fa pensare che si tratti di un complotto? Muore un sacco di gente da queste parti.»

«Ma di solito le vittime non vengono sfigurate, non le troviamo senza polpastrelli e con la gola e le orecchie tagliate. E c'è dell'altro. Credo che tu abbia un socio all'esterno. Qualcuno che era sulla mia barca l'altra notte.»

«Furto con scasso? Cosa hanno preso?»

«Niente.»

«Non è che stai andando via di testa, Jake? E vedi complotti ovunque?»

«No, qualcuno è stato sulla barca. Cercava qualcosa.»

«Bene, sei tu il detective, prova a esaminare la situazione. Non potevo essere io, le guardie giureranno che non mi sono mosso. E allora chi? Scommetto che la tua collega aveva le chiavi della barca.»

Jake sobbalzò e Bordon sorrise soddisfatto.

«Lo sapevo. Forse faresti meglio a chiedere al marito.»

«Ho già parlato con il marito di Nancy, non sa nulla della chiave.»

«Ti sei scopato sua moglie, non c'è da stupirsi se vuole fartela pagare.»

«A dire il vero, credo che sia a te che vuole farla pagare. E lui non ha giurato fedeltà alla legge. Può tranquillamente farti fuori e poi invocare la temporanea infermità mentale, a causa del dolore che gli ha rovinato la vita per tutti questi anni.»

«Avresti dovuto indagare un po' più a fondo su quell'uomo, Jake. Forse è più pazzo di me.»

«Se ci tieni tanto ad aiutarmi, dimmi quello che sai sull'ultima vittima. E su Nancy. Non riuscirai mai a convincermi che la morte di Nancy non abbia niente a che fare con gli omicidi di cinque anni fa.»

Bordon lo fissò, senza mai sbattere le palpebre. Scosse la testa. «La tua collega è scomparsa mentre perseguitavi me e il mio gruppo. Sei tu che vuoi per forza vedere un collegamento fra le due cose. Non ci sono altre ragioni. Scommetto che i tuoi superiori sono d'accordo con me. Povero Jake, che vuole a tutti i costi trovare un movente, un responsabile che lo liberi dai sensi di colpa. Lo sai, gli incidenti capitano. Il brutto tempo, una strada dissestata. La velocità eccessiva. A volte chi guida è sconvolto e non è lucido. Le possibilità sono tante. Ma sai una cosa, Jake? Mi dispiace davvero.»

«Allora aiutami.»

Senza cambiare espressione, Bordon tamburellò le dita sul tavolo. «Hai mai visto uno spettacolo di magia, Jake?»

«Cosa?»

«Uno spettacolo di magia. Solo fumo e specchi, e giochi di prestigio. Le persone non vedono ciò che accade perché la loro attenzione viene distolta da qualcos'altro. Vediamo il mago, vediamo l'assistente mezza nuda al suo fianco.»

«Di cosa stai parlando?»

«Ho letto molto, chiuso qui dentro. E ho parlato con molti detenuti.» Per un attimo lo sguardo vacillò e gli comparve un sorriso triste sulle labbra. «Ho trovato Dio, ho scoperto quanto sia bella la vita.»

«Tu hai trovato Dio? Tu, il predicatore i cui seguaci erano pronti a seguire fino alla morte? E adesso hai trovato Dio?»

Bordon fece un cenno con la mano. «Sì, ho rubato molti soldi a molte persone. Sono un uomo carismatico. Un mago se preferisci, un istrione. Ma adesso ho solo voglia di vivere. Molto presto uscirò da qui, è quasi sicuro. Sono stato un detenuto modello. Ma questo già lo sai.»

«So anche che farò di tutto per farti tornare dentro.»

«Per fortuna sei solo un poliziotto, non un giudice. La cosa più strana, Jake, è che tu mi piaci. Sei in gamba. Forse troppo. Io non ho paura di te, ma puoi spaventare la gente. Stai attento, Jake.»

«Mi stai minacciando, Bordon?»

«Io? Assolutamente no. Sappiamo entrambi che non ho mai ucciso nessuno. Stavo solo dicendo che sei bravo nel tuo lavoro, tutto qui. Non si vince sempre, Jake. Fattene una ragione.»

«Non si vince sempre, ma questa volta non perderò, stanne certo.»

«Te la stai prendendo con la persona sbagliata. Io sono chiuso qui dentro da anni.» Si strinse nelle spalle. «Non sapremo mai se quel cretino di Harry Tennant ha ucciso davvero quelle ragazze. L'ho visto poche volte e mi ha sempre dato l'impressione di essere un gran bastardo. Voleva a tutti i costi dare un senso alla propria vita e odiava tutte le donne che non la pensavano come lui. O forse era impotente e odiava chiunque conducesse una vita normale. Forse era uno psicopatico.»

«Non era abbastanza intelligente per organizzare da solo quei crimini» disse Jake. «L'assassino ha rimosso i polpastrelli per ritardare l'identificazione delle vittime. Le ha nascoste nel fango, in modo che la natura si accanisse sui cadaveri e fosse impossibile trovare eventuali indizi. Per questo occorre qualcuno che sa quello che fa. Qualcuno come te.»

«Se speri in una confessione tardiva, se speri che io crolli e ti dica che sono io il colpevole e che in tutti questi anni ho mantenuto un ampio giro di contatti e che controllo le menti e i cuori degli uomini anche da lontano, sei completamente fuori strada. Te l'ho detto, mi sono pentito di tutto il male che ho fatto in passato. Ho trovato Dio.»

«Se hai davvero trovato Dio, perché non confessi tutto quello che sai, per evitare che altre persone vengano uccise?»

Bordon lo fissò. «Fumo e specchi, Jake. Il mondo è pieno di fumo e specchi.» Poi sembrò a disagio. «Non ho più voglia di parlare. Non dirò una sola parola di più. Non sono obbligato a parlare con te.»

«Ti sbagli. Sei in prigione, e questo è un colloquio autorizzato.»

«Non ci sono nuove accuse contro di me. Sto scontando la mia pena. Io voglio solo continuare a vivere. Non dirò un'altra parola se non in presenza di un avvocato.»

«Sei colpevole, vero?»

Tutta la freddezza di Bordon gli scivolò di dosso come un mantello. «Sto scontando la mia pena. Ti ho detto tutto quello che potevo. Sei tu il detective. Continua da qui.»

Per Bordon la conversazione era chiusa. Jake non era soddisfatto. Non sapeva con esattezza cosa si aspettasse da quel colloquio. Forse niente. Ma era convinto che vedere Bordon gli sarebbe bastato per capire. Capire se era coinvolto in quello che stava succedendo.

Invece non era andata così. Ne sapeva meno di prima.

Gli porse un biglietto da visita. «Se hai bisogno di parlarmi...»

«Sì, sì, conosco la procedura» borbottò Bordon. Per un lungo minuto fissò il cartoncino che Jake teneva ancora in mano, poi allungò il braccio e lo prese. Guardò Jake. Jake aspettò.

«Forse capiterà, forse un giorno ti chiamo, detective. Te l'ho detto, in un certo senso mi sei simpatico. Guida con prudenza. È un viaggio molto lungo.»

Jake si alzò.

«Ho il tuo biglietto» aggiunse Bordon. «Se mi venisse in mente qualcosa di importante, ti telefono.»

Il colloquio era terminato. Jake andò alla porta e picchiettò sul vetro per attirare l'attenzione della guardia.

Quando fu fuori dalla prigione, ripensò a ciò che si erano detti. Passo dopo passo, parola per parola.

Fumo e specchi. Prestigiatori. Distogliere l'attenzione del pubblico.

Cosa voleva dire?

Voglio solo continuare a vivere.

Jake oltrepassò il filo spinato e si avviò alla macchina. Si fermò di colpo.

Voglio solo continuare a vivere.

Come se Bordon avesse paura di qualcuno. Possibile?

Il cellulare che aveva in tasca squillò.

«Dilessio.»

«Sono Carnegie. Paddy Carnegie. Scusa se ci ho messo tanto prima di richiamare. Volevi chiedermi qualcosa sul caso Fresia?»

Il caso Fresia. Perché se ne stava interessando?

Domanda inutile. Per Ashley Montague.

Perché sembrava così sicura di avere ragione sul suo amico. Sicura almeno quanto lui lo era riguardo a Nancy.

Perché in lei c'era qualcosa che gli ricordava Nancy.

E, tanto valeva ammetterlo, anche perché l'aveva sognata quella notte.

«Grazie di aver chiamato, Carnegie. Adesso sono in viaggio, ma sto rientrando. Ci possiamo incontrare?»

 

Per tutta la mattina, durante le lezioni, Ashley non fece altro che disegnare. Stuart nel letto dell'ospedale. I suoi genitori, uno accanto all'altro, che si davano coraggio a vicenda. Jake Dilessio sul ponte della barca. Disegnò anche Arne, che le era seduto vicino. Ricordò quello che le aveva detto mentre prendevano posto.

«Ciao, siamo stati a cena da tuo zio ieri sera.»

«Lo so. Eri con Len, vero?»

«Sì, ci siamo incontrati al poligono. Abbiamo deciso di venire a mangiare qualcosa da Nick e provare a tirarti un po' su il morale. Eri così depressa per il tuo amico.»

«Grazie Arne.»

Quando la lezione terminò, smise di disegnare e alzò gli occhi.

Merda. Brennan la stava guardando.

Doveva essersi accorto che aveva disegnato invece di prendere appunti. Un brivido le percorse la schiena. Solo la settimana precedente due allievi erano stati espulsi. Avevano commesso un errore di troppo nell'ultimo test. Per fortuna lei aveva superato i test con ottimi voti.

Durante il pranzo, raccontò agli amici di Stuart e disse che qualcuno le aveva suggerito di chiedere a Dilessio se poteva fare qualcosa. «Quando gliel'ho chiesto mi ha liquidata dicendo che non poteva fare niente. Ma poi è venuto all'ospedale. E andrà a parlare con il poliziotto che si occupa del caso.»

«Ti ha dato qualche speranza?» chiese Gwyn.

«Non proprio. Comunque il caso è più complicato di quanto sembra. Spero che Stuart riprenda conoscenza e ci spieghi tutto.»

«Forse Brennan ha qualche informazione per te» osservò Gwyn.

«Perché lo dici?» chiese Ashley.

«Perché non ha smesso di fissarti per tutta la mattinata.»

«Sei sicura?» Allora era vero, l'aveva vista disegnare.

«Sicurissima.»

Quando rientrarono in classe, Ashley era nervosa.

A peggiorare le cose, dopo la pausa pranzo il capitano Murray si unì alla classe. Non parlò agli studenti, limitandosi a osservare.

Ashley ebbe l'impressione che anche lui non smettesse di guardarla.

A un certo punto si chinò verso Arne e sospirò: «Sono diventata pazza? Adesso mi sembra che anche Murray mi stia fissando come un falco».

Arne sollevò un sopracciglio. «Magari gli piaci.»

«Non scherzare.»

«Sei carina, Montague.»

«Piantala, Arne.»

«Be', è strano. Hai una vagonata di multe arretrate o roba del genere? Hai ragione. Prima ti guardava solo Brennan, adesso ti stanno fissando tutti e due.»

Ashley si sforzò di seguire attentamente la lezione e di non prendere in mano la matita.

Finalmente il pomeriggio finì. Ashley avrebbe voluto fermarsi per chiedere se avevano qualche informazione sull'incidente, ma non vedeva l'ora di uscire dall'aula.

Comunque non ebbe bisogno di decidere. Appena si alzò, Murray la chiamò.

«Montague?»

«Sì, signore?»

«Ho bisogno di parlarle. Adesso.»

 

Carnegie e Jake si erano dati appuntamento alle quattro per parlare dell'indagine, in un caffè al confine della contea di Miami-Dade.

Jake arrivò appena in tempo.

Carnegie aveva superato i cinquant'anni e doveva essere vicino alla pensione. Nonostante fossero entrambi nella polizia da anni, non si erano mai incontrati. Si piacquero subito. C'era una sorta di fratellanza fra loro, erano due vecchi del mestiere, quasi dei sopravvissuti.

«I genitori mi danno il tormento» esordì Carnegie. «Insistono che devo trovare qualcosa, che il loro ragazzo non ha mai fatto uso di droga.»

«Li ho conosciuti» disse Jake.

«Nessun genitore riesce ad accettare che i figli abbiano preso strade sbagliate. Mi sono capitati casi in cui negavano l'evidenza anche davanti alle prove, a testimoni oculari.»

«So di che parli» sospirò Jake. «Ma conosco un'amica del ragazzo e anche lei è convinta che non fosse il tipo da drogarsi.»

Carnegie aveva gli occhi azzurri, i capelli bianchi come la neve e il viso segnato dalle rughe. Aveva un'aria solida, affidabile. Era una persona perbene, lo si capiva subito. Assunse un'espressione triste e compassionevole.

«Vorrei tanto scoprire qualcosa che dia loro ragione. Sarei più che felice di cambiare idea. Solo che non ho niente per proseguire le indagini. Il ragazzo era in mezzo all'autostrada, in mutande. Era cosi pieno di roba che è già una fortuna che fosse vivo. Il tizio che lo ha investito è disperato, giura di non averlo visto se non quando se l'è trovato davanti. Anche i conducenti delle altre due auto coinvolte non hanno visto niente. Abbiamo controllato quello che l'ha investito ed è pulito. È proprietario di un negozio di mobili, ha tre bambini, fa l'allenatore di calcio e va in chiesa tutte le domeniche. Neppure una multa per divieto di sosta. Si è trovato il ragazzo davanti quando era troppo tardi per frenare, anche se ci ha provato. Non ha idea se il ragazzo sia arrivato dall'altra corsia, se sia rotolato fuori da una macchina o caduto dal cielo. Abbiamo controllato tutte le case e i negozi della zona, diramato un avviso per chiedere a chiunque fosse a conoscenza di qualcosa di contattarci. I genitori non sanno cosa stesse combinando il figlio. Alcuni mesi prima era praticamente sparito dalla faccia della terra, era deciso a diventare uno scrittore. Voleva andarsene in giro in incognito, o roba del genere. Aveva venduto qualche articolo a un giornalaccio che si chiama In Depth. Sono stato alla sede. Il caporedattore stimava Fresia. Secondo lui il ragazzo era molto eccitato per quello a cui stava lavorando, ma ancora non voleva parlarne con nessuno. Potrebbe essersi imbattuto in qualcosa durante le ricerche. Credimi, abbiamo lavorato molto su questo caso, ma adesso siamo a un punto morto. Non abbiamo piste da seguire.»

«Capisco. Però quel ragazzo doveva provenire da qualche parte.»

«Giusto. Doveva provenire da qualche parte. Solo che non sappiamo da dove. Abbiamo anche controllato i registri delle presenze degli alberghi e dei motel della zona. Niente. Se abitava in una casa da quelle parti, nessuno può testimoniarlo. Se è sceso da un'auto, nessuno l'ha visto. Speriamo di trovare un indizio. Non abbiamo chiuso le indagini.»

«E poi c'è la speranza che il ragazzo esca dal coma» disse Jake.

«Sì, c'è questa speranza» convenne Carnegie. Poi cambiò argomento. «E a te come va? Ho letto del cadavere della donna. Ho sentito dire che non hai mai smesso di indagare su quegli omicidi. Quanto tempo è passato? Quattro anni?»

«Cinque. Quasi cinque.»

Carnegie lo fissò. «Pensi che ci sia un collegamento?»

«È probabile. Ma non sappiamo molto. Non abbiamo ancora identificato la vittima.»

Carnegie annuì, lo guardò e per un momento sembrò che non volesse aggiungere altro, poi chiese: «E sulla morte della tua collega? Niente di nuovo?».

Jake fece cenno di no. Provò un senso di stanchezza. Evidentemente anche Carnegie era al corrente di tutte le dicerie.

«Mi dispiace. Era una donna in gamba. È difficile accettare che ci sono casi che non avranno mai una risposta.»

«Già» rispose Jake in tono inespressivo. «Ma non questo.» Si alzò, gli strinse la mano e lo ringraziò. «Se hai qualche novità, mi informi subito?»

«Certo. E se credi di poter scoprire qualcosa per questa indagine, fai pure. Non sono un pivello, non voglio difendere il mio territorio. Sono più che felice di ricevere tutto l'aiuto possibile.»

 

Povera me, pensò Ashley, convinta che fossero sul punto di sbatterla fuori. Aveva commesso qualche errore. Il sergente Brennan e il capitano Murray la guardavano in modo strano.

«Si sieda, signorina Montague, e si rilassi» esordì Murray.

Ashley si sedette. Ma di certo non si rilassò.

«Ho studiato la sua pratica» riprese Murray. Sembrava che sarebbe stato lui a parlare. Niente di strano, era il capo del personale.

«Sì?» disse lei, in attesa.

«Ha frequentato una scuola d'arte per molti anni.»

«Sì.»

«Ma non l'ha terminata. Perché?»

«Perché ho deciso di arruolarmi nella polizia» rispose seria.

«Perché?»

«Perché è quello che voglio fare. Mio padre era un poliziotto» rispose, ancora più seria.

«Però ha mantenuto l'interesse per l'arte.»

Era una constatazione, non una domanda. L'avevano vista disegnare durante le lezioni, forse una volta di troppo.

Ashley si strinse nelle spalle e cercò di mantenere un tono di voce normale, rispettoso e formale. «È la mia passione. E naturalmente continua a piacermi. Ma non credo che questo pregiudichi il lavoro di poliziotto. Quasi tutti gli agenti hanno altri interessi oltre il lavoro, come chiunque, del resto.»

Il loro sorriso la confuse ancora di più.

Si irrigidì. «Se mi avete espulsa per qualche motivo, vi prego di dirmelo subito.»

«Certo che no, lei è una studentessa modello» la rassicurò Brennan.

«Dovrebbe abbandonare il suo corso» disse Murray. «Ma potrà riprendere gli studi quando vorrà.»

«Mi dispiace, ma non capisco.»

«Ho una proposta da farle. Abbiamo bisogno di qualcuno per la scientifica. Si tratta di un posto da civile, alle dirette dipendenze del comandante Alien, un civile assunto dal dipartimento.»

«È un impiego molto ambito» aggiunse Brennan.

«Ma non so ancora molto dell'attività della scientifica» disse. «In che cosa consiste il lavoro?»

«Disegnare in base alle descrizioni di testimoni oculari, più che altro. Scattare fotografie. E a volte anche eseguire la ricostruzione di una fisionomia da cadaveri sfigurati.»

«Non sono granché come fotografa.»

«Non è difficile insegnare a fotografare. È molto più difficile trovare qualcuno con il suo talento per i ritratti.»

Ashley lo guardò stupita. Si chiese come potesse saperlo.

Murray sorrise. «Spero che mi perdonerà, ho preso dal cestino i fogli che ha gettato via.» Le mostrò un disegno, era un ritratto di Jake Dilessio. Ashley arrossì. «La somiglianza è incredibile. È proprio Jake. Questo disegno riesce a comunicare la sua personalità meglio di mille fotografie.»

«È un soggetto interessante» rispose lei, quasi senza accorgersene.

«So che vuole diventare un poliziotto, Ashley. E niente glielo impedirà. Certo, non potrà continuare con il suo corso ora, ma potrà riprendere in qualsiasi momento e ciò che ha fatto finora non andrà perduto. Quello che le proponiamo è un lavoro molto interessante e faticoso. Ma non è più difficile che essere di pattuglia. Ed è ben retribuito.» Le disse la cifra dello stipendio annuale. Era molto superiore a quello che avrebbe percepito da agente, ben più di quanto avrebbe potuto guadagnare in anni di servizio.

La stavano fissando.

«Scusate, ma adesso sono un po' confusa.»

«Naturalmente, non ci aspettiamo che ci dia una risposta immediata. Ma abbiamo bisogno di lei. Se vuole, può incontrare il comandante Alien domani mattina e poi potrà prendere la sua decisione.»

Annuì. «Sì, volentieri.»

«Ottimo.» Le spiegò dove doveva recarsi la mattina seguente, alle otto in punto. «Il comandante Alien, o un suo collaboratore, le spiegherà il lavoro meglio di quanto possa fare io. Ha già visto i disegni e lo hanno colpito. Sarebbe felice se lei entrasse nella scientifica. E io non sarei qui a parlarle se non pensassi che lei è la persona giusta per quel lavoro.»

«Grazie.»

«Lei ha un talento straordinario» intervenne Brennan. «Non è facile per me consigliarle di abbandonare le lezioni. È stato un piacere averla in classe.»

Ringraziò anche Brennan. Continuavano a guardarla per studiare le sue reazioni, ma Ashley capì che il colloquio era finito.

«Domani alle otto» disse.

Brennan sorrise. «Qualsiasi cosa decida, domani mattina dormirà un'ora in più.»

«È già un vantaggio» borbottò Ashley. Poi li salutò e uscì dall'aula seguita dai loro sguardi.

Arne e Gwyn la aspettavano al parcheggio.

«Allora, che è successo? Non possono averti cacciata, non è possibile!» esclamò Gwyn.

Ashley scosse la testa. «Mi hanno chiesto di lasciare l'accademia.»

«Cosa?» sbottò Arne indignato.

Ashley disse loro della proposta. La guardarono entrambi sbalorditi.

«Caspita!» esclamò Gwyn, dopo una pausa. Poi scoppiò a ridere. «Se avessero beccato me a disegnare, mi avrebbero sbattuta fuori senza troppi complimenti.»

«Idem» aggiunse Arne.

«Ma non potrò diventare un poliziotto.»

«Potrai finire il corso quando vuoi, te l'hanno detto. Non essere sciocca. È il lavoro che fa per te, potrai disegnare e servire la legge. Accetta. Noi gregari di basso rango ti guarderemo con invidia» scherzò Gwyn.

«Credo...»

«Gwyn ha ragione, accetta al volo.»

«Ho tutta la notte per pensarci.»

«Che cosa c'è da pensare?» chiese Gwyn. Abbracciò la sua amica. «Congratulazioni e basta. Non c'è altro da aggiungere.»

«Devo andare, è il compleanno di mia madre» disse Arne. «Non dimenticarci quando sarai nelle alte sfere, d'accordo?»

«Non fare lo scemo, figurati se si dimentica di noi» disse Gwyn. «Quando finalmente capirà che occasione le hanno offerto e quando l'incarico sarà ufficiale, andremo a festeggiare.»

«Sempre che decida di accettare» precisò Ashley. Ma iniziava a capire l'importanza della proposta che aveva appena ricevuto. Sarebbe stata pazza a rifiutare. «Anch'io devo andare. Corro a casa a cambiarmi e poi vado all'ospedale.»

«Il tuo amico è sempre stazionario?»

Ashley annuì. Si salutarono e si diressero ciascuno alla propria macchina.

Quando Ashley arrivò al ristorante, fu felice di vedere che la situazione era piuttosto tranquilla. C'erano pochi clienti e il personale era al completo. Nick, Sharon e Sandy erano seduti a un tavolo. Ashley andò da loro per raccontare la novità.

Reagirono tutti e tre allo stesso modo.

«Accidenti» borbottò Nick.

«Incredibile» mormorò Sharon.

«Che bella notizia» disse Sandy.

«Devo accettare?» chiese Ashley, rivolta a Nick.

«Tesoro, non vedo cos'hai da perdere.»

«Forse potrei prima finire il corso con i miei compagni.»

«E magari a quel punto il posto non sarà più disponibile» ribatté Nick. «Ashley, ti si presenta la possibilità di utilizzare il tuo talento per aiutare delle persone. Pensaci.»

«Hai ragione» disse. Sorrise a Sandy, che la guardava felice. Si alzò. «Qual è la specialità del giorno, Nick? Vorrei portare qualcosa da mangiare ai genitori di Stuart, all'ospedale.»

«Mahi mahi polinesiano.»

«Me ne fai incartare due porzioni? Vado a cambiarmi.»

«Te ne faccio incartare tre» disse Sharon. «Anche tu devi mangiare.»

«Grazie Sharon, ma non posso. Mentre loro mangiano, io devo restare con Stuart.»

«Allora mangia qualcosa prima di andare» le consigliò Sharon.

«Va bene, va bene» si arrese Ashley.

«Conosco un sacco di poliziotti» disse Sandy. «E adesso conosco anche un disegnatore della scientifica.»

Ashley si allontanò di qualche passo, poi si fermò. «Avete visto per caso il detective Dilessio, stasera?»

«No» rispose Nick. «Ma l'ho visto stamattina. Era in partenza.»

Ashley cercò di non lasciar trapelare la delusione.

«Perché?» chiese Sharon. «Se vuoi vado alla barca a vedere se è tornato. Ci metto un attimo.»

«Forse ha qualche informazione da darmi. Ma non andare, non voglio dargli l'impressione di stargli troppo addosso. Magari passo io quando torno dall'ospedale.»

«Se lo vedo gli dico che lo hai cercato» disse Sharon.

«Grazie.»

Quando Ashley arrivò all'ospedale trovò Lucy Fresia in sala d'aspetto.

La donna l'accolse con un abbraccio, stupita di vederla. «Tesoro, non dovevi venire. Nathan e io non facciamo altro che starcene seduti qui.»

«Non stasera» la contraddisse Ashley. «Resto io con Stuart, lei e Nathan andate a mangiare.» Le passò i piatti, avvolti nella carta stagnola. «La specialità di Nick.»

«Che pensiero gentile.» Lucy sembrava sul punto di piangere. «Grazie.»

«Mentre voi mangiate, io farò due chiacchiere con Stu.»

Arrivò alla stanza di Stuart e diede il cambio a Nathan. Si sedette di fianco al letto e prese la mano dell'amico. Gli raccontò dell'offerta di lavoro, che era preoccupata di non essere all'altezza e di quanto fosse felice. Quella sera non lo sentì stringerle la mano, ma continuò a parlare. Era bello poter dire tutto quello che le veniva in mente. Era bello sapere che se fosse stato sveglio e cosciente sarebbe stato altrettanto facile confidarsi con lui.

Non aveva idea di quanto tempo fosse passato quando Lucy aprì la porta per darle il cambio. Ashley uscì dalla stanza e raggiunse Nathan, che la ringraziò per la cena e per aver ottenuto l'interessamento del detective Dilessio.

«Vi ha chiamato?» chiese Ashley.

«Non ancora. Non mi aspetto miracoli.»

Ashley annuì. «Certe cose richiedono tempo.»

«Vai a casa, adesso. So che hai molto da fare.»

Lei accettò la sua offerta. Aveva fretta di arrivare da Nick, nel caso che Dilessio fosse tornato alla barca e avesse qualche novità sulle indagini. Augurò la buonanotte ai Fresia e disse loro che sarebbe passata l'indomani.

Quando arrivò in sala d'attesa vide le stesse persone del giorno prima, incluso quel reporter che secondo Nathan era in cerca di un articolo sensazionale. Affrettò il passo.

Non era tardi quando uscì dall'ospedale, ma era una serata insolitamente buia. Ashley non ci fece caso, tutta presa dai suoi pensieri. Non aveva ancora telefonato a Karen e a Jan per aggiornarle sulle condizioni di Stuart e sperava di riuscire a parlare con Dilessio.

Il garage dell'ospedale era deserto. Mentre si dirigeva verso la macchina, sentì un rumore dietro di sé, quasi fosse l'eco dei suoi stessi passi. Uno strano brivido le attraversò la schiena.

Si fermò e anche il rumore cessò. Si guardò in giro. Il garage era illuminato, ma i pilastri e le macchine proiettavano lunghe ombre sul cemento. La sua macchina era in fondo, distante dall'ingresso. Non ci aveva badato quando aveva deciso dove parcheggiare, a quell'ora il garage era piuttosto affollato.

Si voltò piano e si guardò intorno, fra le ombre e gli angoli più bui. Niente.

Riprese a camminare. All'inizio non sentì nulla, poi di nuovo quella lugubre eco dei suoi passi. Più vicina di prima.

Si fermò e si voltò di nuovo. Niente. Ma aveva la pelle d'oca. L'istinto la metteva in guardia, lo sentiva nel suo stesso sangue, come il suono acuto di una sirena.

Aveva le chiavi in mano e il dito pronto a premere il telecomando. Fissò ancora una volta le macchine. I pilastri. Le zone d'ombra.

Il rumore dell'ascensore la fece sobbalzare. Si voltò e vide uscire una coppia. Li seguì con lo sguardo mentre si dirigevano chiacchierando alla macchina e il panico lentamente svanì. Si diede della sciocca e riprese a camminare.

L'auto della coppia era poco distante dall'ascensore. In un attimo misero in moto e uscirono. La sua macchina invece era ancora lontana. Accelerò il passo.

Non se l'aspettava. Di nuovo quel rumore di passi.

Si voltò di scatto: «Sono un poliziotto, ho una pistola e so come usarla!» mentì.

Niente.

Aveva urlato a un garage vuoto.

Andò verso l'auto.

Questa volta non era possibile che il rumore fosse solo il frutto della sua immaginazione. Erano passi lontani, ma sentì distintamente qualcuno correre. Vide una sagoma venire verso di lei, con un camice e una mascherina chirurgica.

Si voltò, cominciò a correre e premette il pulsante del telecomando.

Niente. Era ancora troppo distante.

Continuò a correre nel garage deserto, mentre sentiva i passi sempre più forti, come se rimbombassero su una tomba di cemento.

Qualcuno la inseguiva.

Ed era sempre più vicino.

 

10

 

Ormai mancavano pochi metri all'auto e il telecomando funzionò. Le luci lampeggiarono e l'allarme si disinserì con un suono sordo.

Ashley non sentiva più i passi, non sapeva a che distanza fosse l'inseguitore. Si precipitò all'auto, aprì la portiera, si sedette al volante, richiuse e mise subito in moto. Uscì in retromarcia e fece manovra il più velocemente possibile. Sapeva che l'inseguitore poteva essere armato o cercare di spaccare il finestrino. Accelerò.

Mentre attraversava il garage, guardò tra le auto. Niente. La persona con il camice e la mascherina non c'era. Svanita nel nulla.

O nascosta nell'ombra.

Ashley tremava ancora quando raggiunse l'uscita dell'ospedale. Si fermò e raccontò al custode ciò che era successo.

«È proprio sicura di essere stata inseguita, signorina?»

«Certo» rispose indignata.

«Vuole che chiami la polizia?»

«Sì, voglio che chiami la polizia. Quella persona può essere ancora nascosta lì dentro. Potrebbe assalire qualcun altro.»

Furibonda, posteggiò l'auto, scese e aspettò.

Poco dopo arrivarono due poliziotti in uniforme. Il primo, l'agente Micha, estrasse un taccuino e iniziò a prendere appunti. Ma si interruppe quando lei gli fornì la descrizione dell'uomo.

«Mi sta dicendo che indossava un camice?» chiese.

«Sì. E la mascherina chirurgica.»

L'agente chiuse il taccuino.

«Cosa c'è?» chiese Ashley.

«I garage di notte possono incutere paura, signorina Montague. I passi rimbombano, la luce è fioca. È proprio sicura che qualcuno la stesse seguendo?»

«Sì.»

L'agente sospirò. «Poteva essere un chirurgo stanco morto che cercava di raggiungere l'auto. O un'infermiera. È facile immaginare le cose, a volte.»

«Gliel'ho già detto, agente, sono un'allieva dell'accademia. Non sono un tipo che si spaventa facilmente e di certo non immagino loschi figuri in ogni angolo. Quella persona mi inseguiva. Quale travestimento migliore, per rapinare o stuprare nel parcheggio di un ospedale?»

«Va bene, d'accordo» disse l'agente Micha. «Andremo a dare un'occhiata e cercheremo qualcuno con un camice. Significherà interrogare praticamente tutto il personale dell'ospedale, ma indagheremo.»

«Grazie» borbottò Ashley.

Aveva fatto tutto quello che poteva, ma si sentiva comunque frustrata.

L'agente Micha ripeté in tono stanco che avrebbero fatto il possibile. Le diede il suo biglietto da visita e le disse che l'avrebbe aggiornata su eventuali sviluppi.

«Se era un poco di buono, probabilmente se ne sarà già andato» intervenne il collega di Micha, in tono gentile. «E se indossava un camice, la cosa più logica è che sia rientrato in ospedale. Ma la terremo informata. E avvertiremo la sicurezza dell'ospedale di tenere gli occhi aperti.»

Ashley fissò il distintivo. Agente Creighton. Decisamente meglio dell'agente Micha, pensò.

«La ringrazio molto» gli disse. «Posso avere anche il suo biglietto?»

L'agente glielo porse e Micha non disse una parola.

Ashley riprese la via di casa, per niente tranquillizzata. Ora che il pericolo era scongiurato era più arrabbiata che spaventata. Lei era riuscita a fuggire, ma qualcun altro poteva non essere altrettanto fortunato. E l'atteggiamento dell'agente Micha era stato a dir poco irritante.

Quando arrivò davanti al ristorante, il suo posto auto era occupato da un'altra macchina, nonostante il cartello con la scritta RISERVATO fosse lì in bella vista. Ashley imprecò tra i denti e dovette posteggiare più lontano, in un punto decisamente meno illuminato.

Forse avrebbe lasciato l'accademia e allora avrebbe dovuto restituire la pistola, ma per il momento l'aveva ancora e sapeva come usarla. Allora perché non l'aveva portata con sé?

Perché in tutta la sua vita non si era mai trovata a desiderare di possederne una.

Fino a quella sera.

Uscì dall'auto e si guardò intorno, sospettosa di ogni ombra.

Percorse veloce il vialetto e arrivò all'entrata sul retro. Fuori, nel portico, c'era qualche cliente. Rallentò il passo, ancora arrabbiata e nervosa. Si fermò e guardò verso gli ormeggi.

Vide la barca di Dilessio. La luce all'interno era accesa.

A passi veloci si diresse verso il molo. Quando fu più vicina alla barca, rallentò il passo, improvvisamente indecisa.

Era sul punto di tornare indietro, ma pensò a Stuart, ai suoi genitori che invecchiavano nella sala d'aspetto dell'ospedale.

Riprese a camminare. Trasalì quando si accorse che Dilessio era sul ponte della barca. Era seduto su una sedia di vimini, con le gambe allungate in avanti e i piedi nudi appoggiati sulla barra del parapetto. Aveva in mano una bottiglia di birra e guardava lontano, dove l'oscurità del cielo si incontrava con quella dell'oceano. Non avrebbe saputo dire se l'aveva sentita arrivare; non si era mosso. Ashley pensò che stesse dormendo e stava per fare marcia indietro, quando lui la chiamò.

«Buonasera, signorina Montague. Salga a bordo.»

«Non vorrei disturbarla, detective. Vedo che è molto occupato a risolvere il suo caso.»

«A dire la verità, stavo lavorando.»

«Ho sempre pensato che, se mai fossi diventata un detective della omicidi, avrei svolto le indagini seduta comoda, a fissare il mare con una birra in mano.»

«Salga a bordo» ripeté lui.

Ashley ubbidì.

«Si prenda pure una birra, una bibita, quello che le pare.»

«Non si può rifiutare un'offerta tanto gentile.»

«Stia attenta alla testa quando entra, la porta è bassa.»

Ashley non aveva voglia di bere, ma l'idea di entrare nel suo regno privato la tentava. Si ritrovò in un ambiente spazioso, suddiviso in cambusa, zona pranzo, soggiorno. Era tutto molto ben organizzato, pulito e ordinato. Aprì il frigorifero. Soda, succhi di frutta, birra, acqua.

«Si lasci andare, Montague, prenda una birra» urlò Dilessio.

Ashley prese una soda e tornò sul ponte.

Il detective non si era mosso di un centimetro.

«Bella serata, non le pare?» disse Dilessio.

«Sì, il tempo è magnifico.»

«Ma non credo che sia venuta qui per chiacchierare del tempo, giusto?»

«È riuscito a parlare con l'agente che si occupa delle indagini su Stuart?»

«Sì.»

Ashley si appoggiò al parapetto e lo fissò. «Allora?»

«È uno in gamba. Della vecchia scuola. Sa il fatto suo.»

Sospirò esasperata. «Ma che cosa ha detto?»

«Che sta facendo tutto il possibile. I Fresia gli piacciono e si augura che abbiano ragione. Però non ha testimoni. Nessuno si è fatto avanti per dire che ha visto il suo amico camminare sull'autostrada. L'uomo che l'ha investito l'ha visto solo quando se l'è trovato davanti.» Il disappunto di Ashley doveva essere più che evidente, perché Dilessio passò a un tono irritato. «Ma che cosa si aspettava? Una soluzione immediata? Non è così che funziona. Si può lavorare a un caso per anni e non riuscire mai a risolverlo. Però c'è una possibilità e a quel punto avremo tutte le risposte: il suo amico potrebbe farcela.»

«Non potrebbe farcela, ce la farà di certo.» Ashley voleva dimostrare di essere forte, ma si accorse che quelle parole suonavano patetiche.

Con sua sorpresa, Dilessio sbuffò con impazienza, quasi a deriderla. «E perché? Perché siete stati a letto insieme e quindi lui ce la farà e la verità salterà fuori? I cattivi saranno puniti e sarà fatta giustizia? Mi dispiace, ma non funziona così, purtroppo.»

Lo guardò gelida e si staccò dal parapetto. Non si meritava neanche una risposta. «Forse ha bevuto troppo.»

«No, Montague, dico le cose come stanno. A volte non si può fare niente per cambiarle.»

«Ma lo sa che è proprio un idiota?» sbottò infuriata. Fece per andarsene.

«Montague» gridò Dilessio.

Senza neppure sapere perché, Ashley si fermò. In fondo non gli doveva proprio un bel niente.

«Le sembra il modo di parlare? Perché non prova con: "Grazie per il suo interessamento, detective"?»

«Oh, grazie detective. È stato davvero fantastico.»

«Ascolti, io capisco la frustrazione di Carnegie. Deve trovare una nuova pista, al momento è in un vicolo cieco. Gli ultimi mesi di Stuart sono un mistero. I genitori non sanno quello che stava facendo. A Carnegie hanno parlato di un giornalaccio che si chiama In Depth. Lavorava su una storia, ma non ha detto niente a nessuno. Anche il direttore del giornale non ha idea di cosa fosse.»

Ashley lo fissò. «Ecco, è questa la risposta.»

«Risposta? Lei sa di cosa si trattava?»

«No. Ma è evidente. Stava indagando su qualcuno, questo qualcuno lo ha scoperto e ha tentato di ucciderlo. Dobbiamo scoprire su cosa stava lavorando.»

Dilessio si alzò di colpo, con un movimento sciolto e sicuro. Non era affatto ubriaco.

«Dobbiamo scoprire? Lei non è ancora un poliziotto. E io sono della omicidi. Carnegie è uno in gamba, gliel'ho già detto. Se lei scopre qualcosa, deve parlarne immediatamente con lui.» Sospirò infastidito. «Oppure con me. Basta che ne parli con qualcuno. Non faccia niente da sola, intesi? E accetti la realtà. Forse il suo amico è finito in qualche squallido giro di ricconi e di droga. Che le piaccia o no, che ci creda o no, non è una possibilità da escludere.»

L'aveva quasi schiacciata contro il parapetto. Non era minaccioso, solo molto autoritario. Non aveva urlato o alzato la voce, ma il suo tono era deciso.

Lei sollevò il mento. «L'aggiorno subito. Stuart stava davvero per scoprire qualcosa. Stasera qualcuno mi ha inseguita nel garage dell'ospedale.»

«Cosa?» Dilessio arretrò di un passo.

«Non mi ero resa conto che potesse esserci un collegamento, l'ho capito solo adesso. Avevo posteggiato nel garage dell'ospedale. Quando sono andata a prendere l'auto, qualcuno mi ha seguita. Sono riuscita a salire in macchina e lui è sparito. Lì per lì ho pensato che si trattasse di un incidente qualsiasi, di quelli che capitano a una donna sola che cammina di sera in un garage. Ma forse era proprio me che cercavano, forse volevano aggredirmi perché conosco bene Stuart e sono rimasta a lungo da sola con lui. Forse non sono riusciti a farlo fuori e sanno che Stuart può uscire dal coma da un giorno all'altro.»

«Una persona l'ha inseguita. Chi? Come era fatto? Un vagabondo? Bianco? Nero? Vecchio? Giovane?»

Lei scosse la testa. Si era pentita di averne parlato. «Indossava un camice dell'ospedale. E una mascherina da chirurgo. Non so neppure se fosse un uomo o una donna, ma ho l'impressione che fosse un uomo.»

«È stata seguita da qualcuno con un camice? All'ospedale?»

«Sì» rispose con impazienza.

Lui rimase in silenzio. Ashley si rese conto di quanto fossero vicini. Sentiva il profumo del docciaschiuma, mescolato a quello della birra e alla brezza dell'oceano. Dilessio aveva un'espressione indecifrabile dipinta in volto. Se avesse dovuto disegnarlo in quel momento, non sarebbe riuscita a restituire il suo volto. Ashley si accorse di trattenere il respiro, turbata da quella vicinanza. Poi però lui scosse la testa.

«Non è che si sta lasciando trasportare un po' troppo dalla fantasia?»

«Fantasia un corno. È tutto vero, ho anche sporto denuncia.»

«Allora non andrà più all'ospedale da sola.»

«Presto diventerò una poliziotta.» Non era proprio la verità. Il posto alla scientifica era un'occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Ma non aveva intenzione di parlarne con Dilessio.

«Stasera però si è spaventata.»

«Ero impreparata, nessuno considera pericoloso un ospedale. E non ero armata.»

«E forse non è stata abbastanza prudente» aggiunse Dilessio, in un tono ostile.

«Perché ogni nostra conversazione finisce col diventare un litigio?» chiese Ashley.

«Nessun litigio. Sto solo cercando di insegnarle a non agire in modo sconsiderato.»

«Allora che bisogno ha di trattarmi così?»

«La tratto come si tratta un principiante pieno di sé, convinto di essere l'unico a poter cambiare il mondo e ad avere in mano tutte le soluzioni.»

Ashley si sentì gelare. Non batté ciglio e continuò a fissarlo. «Grazie. Lei mi è stato di grande aiuto, detective. Scusi tanto il disturbo. È stata proprio una serata da ricordare.»

«L'accompagno a casa.»

«Non ce n'è bisogno. Ho poca strada da fare.»

«L'accompagno.»

«E perché?»

«Primo, perché questa sera lei ha quasi subito un'aggressione. Secondo, perché i poliziotti si proteggono l'un l'altro.»

«Allora dopo devo riaccompagnarla alla barca? Non mi sembra il caso di passare la notte così.»

«Non c'è niente da ridere. Non ha ascoltato neppure una delle cose che le ho detto.»

«Non è questo che ci si aspetta da una pivellina arrogante, convinta di sapere tutto?»

Dilessio arretrò di un passo, serrò i denti e contrasse i muscoli del viso. «D'accordo, Montague. Mettiamola così. Lei è giovane e carina. Io sono vecchio e stanco, e ne ho già viste di tutti i colori. Mi accontenti.»

La prese per il braccio e iniziò a camminare. La sua era una presa salda e sicura. Ashley lo seguì impacciata. Ripensò alle sue parole.

Carina?

«Siamo arrivati, quello è il mio ingresso privato.»

«Bene.»

«Grazie di avermi scortata fin qui. Noi ragazze carine siamo sempre molto riconoscenti quando arriviamo a casa sane e salve.»

«Bene.»

«Allora?»

«Apra la porta ed entri.»

Ashley alzò la mano in segno di resa, poi frugò nella borsa alla ricerca delle chiavi che l'avrebbero liberata di lui. Ma non le trovò. Dilessio era sempre lì. Furibonda, si chinò e rovesciò il contenuto della borsa per terra. E le chiavi miracolosamente si materializzarono.

Dilessio si abbassò per aiutarla a rimettere tutto nella borsa, il portafoglio, la penna, il rossetto, il portacipria e cianfrusaglie varie.

«Faccio da sola, grazie.»

Lui si rialzò senza controbattere. Ashley girò la chiave ed entrò.

«Adesso sono al sicuro.»

«Buonanotte.»

Dilessio si voltò e si diresse alla barca. Lei rimase lì a guardare la sua schiena che si allontanava, mordicchiandosi un labbro. Ecco fatto, se n'era andato. Tutto finito. Fatti concreti e rimproveri. Non aveva ottenuto altro da lui. Ma cosa si era aspettata? Di essere invitata a salire a bordo con più gentilezza? Di discutere seriamente con lui i dettagli del caso? Che le dicesse che insieme sarebbero riusciti a risolverlo?

Ovvio che no.

Però non avrebbe mai immaginato che la scortasse fino alla porta come se fosse solo una ragazzina indifesa. Che sarebbe rimasto lì ad aspettare di vederla entrare.

Aveva forse sperato che la seguisse dentro, per controllare la stanza? Che le si avvicinasse come aveva fatto sulla barca e le parlasse con quella voce bassa e sicura?

Che fosse rimasto?

Era solo un gran presuntuoso e maleducato.

Perché le piaceva tanto?

Quando si era trovata vicino a lui, aveva ascoltato indignata tutti i suoi predicozzi, senza mai smettere di pensare a quanto la intrigavano quegli occhi scuri, quel viso perfetto. E il suo corpo.

Era ancora sulla soglia persa nei suoi sogni, quando lui si voltò.

«Ho detto di entrare e di chiudere a chiave» urlò con impazienza.

Ashley entrò e chiuse la porta.

Jake tornò alla barca con una rabbia e una tensione che non riusciva a spiegarsi. Gli doleva persino il collo. Si sentiva frustrato, sia per il caso Bordon, sia per il caso Fresia.

E anche per la nipote di Nick. Quella ragazza doveva darsi una calmata.

Aveva cercato di metterla in guardia. Non voleva che si cacciasse nei guai.

No. Non era solo questo. Voleva di più. Molto di più. Non riusciva a spiegarsi perché ci avesse messo tanto ad accorgersi che gli occhi di Ashley Montague non erano semplicemente verdi. Quando parlava o si infervorava, passavano da un verde muschio a un limpido color smeraldo. E non era solo magra, agile e snella, aveva anche un corpo provocante. Attorno a lei aleggiava un profumo intenso. E il rosso dei capelli era come il suo profumo, eccitante, un sussurro dolce e sensuale.

Aprì il frigo per prendere una birra.

Lo richiuse e si guardò attorno. Nella barca non mancava nulla, eppure aveva ancora la certezza che qualcuno fosse stato a bordo della Gwendolyn la sera precedente.

E Ashley gli aveva appena annunciato di essere stata seguita nel garage.

C'era un nesso tra le due cose?

Jake si preparò un caffè poi si sedette al computer. Aprì alcuni file che erano lì da anni.

Era quello il motivo?

Forse qualcuno si era introdotto a bordo per consultare i suoi file, qualcuno che sapeva che non aveva mai smesso di indagare e che nel computer vi erano i risultati delle sue ricerche?

Si ripromise di far cambiare la serratura il giorno seguente. Anche se con un giorno di ritardo.

Intrecciò le mani dietro la nuca e ripensò all'incontro con Bordon.

Fumo e specchi...

Mary Simmons era convinta che Harry Tennant fosse pazzo. Che sentiva delle voci. Lazzaro.

Lazzaro resuscitato dai morti.

Stuart Fresia stava scrivendo un articolo.

Ashley Montague aveva gli occhi più verdi del mondo, con pagliuzze di fuoco. E un seno magnifico.

Jake imprecò ad alta voce, fissò lo schermo del computer e iniziò a scrivere. Concentrato, in tensione. Scrisse impressioni, appunti, ciò che gli avevano detto e tutte le cose che in qualche modo gli sembravano importanti, o stonate.

Lazzaro. Era pazzo, sentiva le voci.

Fumo e specchi.

Stuart Fresia stava lavorando a un articolo.

Ashley Montague ha gli occhi...

Si affrettò a cancellare l'ultima frase. Spense il computer e uscì sul ponte.

Era così vicina.

Quella ragazza non doveva diventare un poliziotto. Non aveva la pazienza necessaria.

Non era così. Sarebbe diventata un poliziotto formidabile. Come Nancy. Però Nancy aveva commesso un errore e adesso era morta. Altri poliziotti avevano commesso errori ed erano morti.

Fumo e specchi.

Lazzaro.

E se Tennant non fosse stato pazzo? Forse quelle che aveva sentito non erano voci. Forse un membro della setta si chiamava Lazzaro.

Avrebbe voluto essere ancora con Bordon. Avrebbe voluto che fosse legale portarlo alla sbarra e costringerlo a confessare con la forza. Era furibondo con se stesso. Sentiva che la risposta era a portata di mano e non riusciva a vederla.

Fumo e specchi. Bordon aveva giurato di non sapere nulla di Nancy. Lei non l'aveva mai neanche accompagnato a interrogare i membri della setta. Vi era andato due volte, e sempre da solo. La prima volta Nancy doveva interrogare il turista che aveva scoperto il secondo cadavere. La seconda invece, era occupata a controllare i documenti contabili di Bordon.

Poi era morta.

Bordon non l'aveva mai incontrata, eppure sapeva molte cose di lei, sapeva dei suoi problemi con il marito.

Fumo e specchi. Lazzaro.

Alla fine decise che la cosa migliore era dormirci sopra. Era esausto. Forse il mattino dopo tutto gli sarebbe parso più chiaro.

Si chiuse dentro e andò a letto. Ma restò sveglio a lungo.

 

Anche quella notte ebbe uno strano sogno.

Si trovava in una foresta, una foresta piena di specchi. Un uomo con un lungo vestito bianco camminava fra gli alberi. Lazzaro. Resuscitato dai morti.

Gli specchi svanirono e diventarono cristalli. Polvere di cristallo che vibrava nell'aria. La foresta era scomparsa, al suo posto vi era la spiaggia del porticciolo, e una donna che veniva verso di lui. Snella e sensuale, si muoveva lenta e provocante. La pelle era rischiarata dai raggi della luna. I capelli parevano in fiamme.

Era nuda.

A passi lenti raggiunse il pontile.

Un attimo dopo era a bordo. Era sopra di lui. Poi...

Si svegliò di colpo, in un bagno di sudore.

Il sogno era stato così reale.

Era ora di smetterla. Stava diventando un'ossessione e doveva liberarsene. Forse trascorreva troppo tempo da solo.

Si alzò a sedere e rimase immobile, in ascolto. Era stato il sogno a svegliarlo? Oppure un rumore? In silenzio, scese dal letto e si aggirò per la barca a piedi nudi.

Un suono, ma non sulla barca. Da qualche parte, vicino.

Del resto, non era certo l'unico a vivere lì. Poteva essere stato qualcuno che rientrava sulla propria barca o che usciva dal ristorante. Oppure Nick che portava fuori la spazzatura.

Prese la pistola dal cassetto del comodino e uscì sul ponte.

La notte era silenziosa. Si sentivano solo i rumori consueti di un porticciolo: il mare che lambiva gli scafi delle barche, i suoni delle imbarcazioni che sbattevano contro il molo sospinte dalle onde.

Jake salì sul pontile e si guardò attorno. Sembrava tutto tranquillo.

Guardò al di là del prato.

Ashley Montague era lì, sulla soglia. Indossava una lunga maglietta con il nome di qualche gruppo rock e una scritta.

Anche così, era incredibilmente sensuale.

Per un attimo rimase fermo a guardarla, consapevole che anche lei lo stava osservando.

La raggiunse. Ashley guardò prima la pistola, poi lui, ma non si mosse.

«È venuto per arrestarmi?» chiese.

«No. Che cosa ci fa qua fuori?»

«Ho sentito un rumore. E lei, cosa ci fa qua fuori?»

«Ho sentito un rumore.»

«Ci siamo sentiti a vicenda?» chiese Ashley.

«È possibile.»

Continuarono a fissarsi, avvolti dalla lieve brezza della notte. Jake la sentiva respirare, vedeva il seno sollevarsi e abbassarsi sotto la maglietta.

«E la pistola?»

«Ho messo la sicura.»

«Bene.» Ashley si inumidì le labbra, poi lo fissò con gli occhi color smeraldo. «Allora...»

Jake si strinse nelle spalle. Gli pareva di essere percorso da una lava incandescente, come un vulcano prima di un'eruzione. Non le era troppo vicino e non la stava toccando, ma aveva la sensazione che il corpo di lei sprizzasse scintille ardenti, che gli accendevano i sensi.

Scosse la testa e decise che doveva andarsene da lì al più presto.

«Da te o da me?» chiese lei.

Fu solo un sussurro. Senza la durezza e la grinta che senza dubbio era nelle sue intenzioni. Poi però scosse la testa e Jake pensò che si stesse tirando indietro.

Ma non lo fece.

«Da te» borbottò. «Dopotutto qui sono ospite dello zio.»

Senza dire una parola, Jake la prese per un braccio e la condusse attraverso il prato.

 

11

 

Rosso.

Vedeva rosso ovunque. Sparso sul cuscino, provocante ed eccitante.

Jake sapeva che si stava comportando da incosciente, che era una follia, ma non gli importava. Nessuno dei due agiva in modo razionale.

In quel momento, lei era la donna più bella e desiderabile del mondo, nient'altro. Si muoveva come nessun'altra. Gli occhi erano di un verde infuocato e Jake non aveva mai visto una bocca così perfetta. Attorno a lei l'aria diventava elettrica.

Era perfetta.

Cosa sto facendo?, si chiese Ashley. Ma scacciò il pensiero. Era quello che aveva sognato. Era lui che voleva. Ed era perfetto. Il viso segnato dalla vita, i lineamenti marcati, le spalle larghe, il torace, il ventre piatto. Il suo odore, irresistibile, di mare, sale, dopobarba. Era bello e incredibilmente virile al tempo stesso. Era provocante.

Jake ormai non poteva fermarsi. Pensò che lei avrebbe potuto ripensarci, interromperlo, respingerlo, dire qualcosa.

Ashley non parlò.

Non si erano detti una sola parola. Non mentre raggiungevano la Gwendolyn, non quando lui si era fermato per richiudere la porta e neppure quando le aveva indicato la cabina. Non aveva parlato quando lei si era tolta la maglietta, non avrebbe potuto. Era rimasto senza fiato. Sotto la maglietta di cotone, Ashley indossava un minuscolo tanga nero di pizzo.

Aveva spostato le coperte e lei si era distesa sulle lenzuola. E ora era lì, sdraiata, in attesa, confusa in quel rosso accecante che lo stordiva, che sentiva dentro di sé come se potesse vedere il suo stesso sangue sulle lenzuola.

Jake ritrovò il fiato e sussurrò: «Gesù».

Guardò i capelli rossi, poi la piccola striscia di pizzo nero. Si distese sopra di lei e per un istante incontrò i suoi occhi.

Colore, ancora colore. Verde. Occhi da gatta, sensuali, socchiusi.

E le sue labbra umide e invitanti. I brevi respiri eccitati, l'attesa di ciò che stava per accadere.

Jake posò la testa su di lei, respirò il profumo della sua pelle. Passò la lingua nel solco tra i seni e poi giù, verso quella striscia di pizzo nero. Si soffermò sull'ombelico. Sentiva il sapore del sapone, della crema, della sua pelle morbida come seta e così viva e vibrante. Scese ancora, la sua lingua incontrò il pizzo e si insinuò sotto l'elastico. La sentì gemere e trattenere il fiato. Con le dita sollevò l'elastico e spostò la stoffa, appena un poco. Poi afferrò l'elastico e lo abbassò.

Rosso.

Sentì il colore esplodergli nella testa. Lei gli afferrò i capelli e mormorò qualcosa, suoni indistinti. Come lamenti. Continuava a muoversi sotto di lui, inarcò la schiena. L'elastico gli si spezzò fra le dita. La baciò, la leccò, la baciò ancora, respirò dentro di lei. Gli stringeva forte i capelli, ma lui era consapevole solo del suo profumo, del suo sapore. La sentiva muoversi, gemere, capì che era vicina a provare il massimo del piacere. Si irrigidì sotto di lui e poi esplose come un cristallo. La presa sui capelli si allentò. In un attimo le fu sopra, la guardò.

La baciò sulla bocca e lei lo abbracciò, gli accarezzò le spalle, rispose ai suoi baci e le lingue si unirono, umide e calde, in un crescendo di passione.

Poi lo allontanò un poco, per conoscere il suo corpo, la sua pelle. E la massa rossa di capelli scese lungo il suo torace, giù fino alla cintola dei calzoncini. Insinuò una mano e le dita si mossero lente, sensuali, eccitanti. Non era certo di riuscire a resistere. Si staccò da lei, si liberò dei calzoncini, la prese fra le braccia e scivolò dentro di lei mentre la baciava con una passione irrequieta. Era morbida, calda, passionale, argento vivo, fuoco. Jake non ricordava di aver mai provato niente di simile, quell'urgenza di muoversi dentro di lei con forza, con violenza, una dolce tortura, per raggiungere l'appagamento finale. Una totale incoscienza smorzata appena da un orgoglio segreto.

La sentì tendersi come la corda di un arco, le sfuggì un urlo che soffocò contro il suo collo. Allora si abbandonò al piacere, senza più cercare di resistere, fino a quando gli parve di non avere più vita in corpo, più fiato nei polmoni.

Poi lentamente la vita tornò in lui, uscì da lei e la attirò a sé. La abbracciò. E insieme ripresero a respirare.

Restarono in silenzio per qualche minuto, poi le disse con dolcezza: «Vuoi parlare?».

«No.»

Lei non fece cenno di muoversi e neppure lui si spostò.

Erano avvolti dalla penombra, cullati dal rollare della barca. Le accarezzò il braccio, la schiena, fino al solco fra le natiche.

Pochi secondi dopo l'attirò di nuovo a sé. Era umida, calda, accogliente. Lasciò scorrere le dita sul suo petto, sul collo, intorno ai seni, la accarezzò, sempre più insistente, raggiunse i fianchi e la tenne stretta fino a quando la passione esplose di nuovo. Restarono così, sudati e abbracciati, mentre tornavano alla realtà.

Le accarezzò la spalla, i capelli, sempre in silenzio, senza smettere di abbracciarla. In quel momento si rese conto che erano secoli che non si sentiva così, che non provava un piacere simile nell'abbracciare una donna, anche dopo aver fatto sesso con lei. La risacca lambiva la chiglia. Chiuse gli occhi.

 

In ospedale, Lucy Fresia era seduta accanto al figlio. Non vi era nessun accenno di miglioramento, ma lei non aveva intenzione di arrendersi. Stuart c'era ancora, e aveva voglia di vivere.

Gli prese la mano e si appoggiò allo schienale. Era tardi. Chiuse gli occhi. Pochi secondi dopo la stanchezza ebbe la meglio e si addormentò.

Uno scatto. Il suono soffocato di uno scatto la svegliò di colpo. Si guardò attorno. Forse era Nathan che le dava il cambio. Oppure l'infermiera dai modi gentili che era sempre pronta a portare a Stuart quel poco sollievo che poteva.

Fissò la porta. Attraverso il vetro vide una sagoma, qualcuno che indossava uno dei camici dell'ospedale. Si raddrizzò e trovò la forza di sorridere, per accogliere il nuovo venuto.

La persona all'esterno doveva averla vista. Ne era certa.

La porta non si aprì e dopo un attimo la sagoma si allontanò.

Perplessa, si alzò e andò alla porta. Il corridoio era deserto. Con una scrollata di spalle tornò dal figlio. Avvicinò la sedia al letto.

«Ce la farai, Stuart. Ce la farai. Devi farcela, lo sai» disse in tono dolce. Gli occhi le si riempirono ancora una volta di lacrime. «Devi farcela. Io e il papà ti amiamo così tanto. Sei tutto per noi. Ti prego.»

Ma a risponderle c'era solo il respiratore, che si alzava e si abbassava con una cadenza regolare. Strinse più forte la mano del figlio. «Non ci arrenderemo. Saremo sempre con te. Sempre, qualsiasi cosa accada.»

 

Il trillo della sveglia fu come uno schiaffo.

Jake scattò e si portò le mani alle tempie.

«Merda.»

«Merda» ripeté una voce al suo fianco.

Anche lei era seduta, stretta al lenzuolo, la massa di capelli arruffati le nascondeva il viso.

Alla luce del mattino era ancora più desiderabile, meravigliosa e vulnerabile.

Ma la luce del mattino li riportava entrambi alla realtà.

Si scambiarono uno sguardo stupito.

Ma dove avevo la testa?, si chiese Jake. Era la nipote di Nick. Arrogante, troppo sicura di sé, con la propensione a cacciarsi nei guai. Aveva bisogno di lei come si ha bisogno di camminare con una spada nel fianco.

Era stato soltanto sesso. Puro sesso. Consensuale. Fantastico, decisamente fantastico, ma solo sesso.

Non era vero, però. Non con una come lei. Gli era entrata sotto la pelle prima ancora di toccarla. Si chiese come avesse potuto vederla per tanti anni, magari prendere una birra dalle sue mani, senza notarla. Era stata sempre e solo la nipote di Nick. Una ragazzina. Eppure non era certo una ragazzina. Nessun dubbio su questo. Era un fuoco ardente e lui avrebbe dovuto sapere che il fuoco brucia.

Come se non bastasse, era un'allieva dell'accademia. Non era contro il regolamento che due agenti si vedessero, al di fuori degli orari di lavoro. Ma lei frequentava ancora l'accademia. E non stavano insieme. Avevano solo fatto sesso.

E lei lo fissava con occhi terrorizzati.

Ma dove avevo la testa?, si chiese Ashley. Ovviamente, non aveva pensato affatto. Sì, aveva i capelli scompigliati, la pelle abbronzata e un sedere ancora più perfetto di quanto avesse immaginato.

Ma era comunque il detective Jake Dilessio.

E lei non era il tipo da avventure. Non era il tipo che saltava nel letto degli sconosciuti.

«Merda» ripeté Dilessio. La guardò come se si fosse svegliato accanto a un cobra.

«Merda» gli fece eco lei, poi si piegò per cercare la maglietta e la biancheria. «Che ore sono?»

«Le sei e mezzo. Devi sbrigarti, se vuoi essere in classe per le sette.»

«Oggi ho tempo fino alle otto.» Il tanga era da registrare fra le perdite. Sarebbe dovuta tornare a casa nuda, sotto la maglietta.

«Perché?»

«Ho un appuntamento. Ma tu sei in ritardo. Ah, no, dimenticavo. Sei il detective Dilessio. Fai gli orari che vuoi, sei libero di organizzarti il lavoro. Ma hai ragione, devo sbrigarmi.»

Ashley infilò la maglietta, scese i due gradini e raggiunse in fretta la porta. Le sembrò che fosse un'ottima uscita di scena.

Solo che non riuscì ad aprire la serratura. Jake la raggiunse e la aiutò.

«Ashley?»

Non lo guardò. «Cosa c'è? Ho fretta.»

Ma lo sentiva così vicino. Sollevò la testa e incontrò il suo sguardo.

«Mi raccomando, sii prudente. Non illuderti di poter risolvere tutti i problemi del mondo. O il mistero che riguarda il tuo amico.»

«Io sono prudente.»

Rimase lì, in attesa, mentre lui continuava a guardarla. Si accorse di essere arrossita, per la rabbia e per l'imbarazzo. Senza dubbio stava per farle un bel discorsetto sulla notte trascorsa insieme, sul fatto che non significasse nulla.

Niente di tutto questo. Jake sorrise e le parlò con voce dolce. «Grazie di essere venuta. È stata la notte più bella della mia vita.»

Ashley spalancò gli occhi. «Oh, be'... Grazie.»

«Gran sesso» sussurrò Jake. Aprì la porta.

In seguito, Ashley non avrebbe saputo spiegare cosa le fosse passato per la testa, perché avesse aperto bocca. «Il migliore della mia vita» si ritrovò a ribattere.

Si sarebbe presa a sberle. La porta era aperta e lei scappò via.

 

La mattinata di Ashley fu frastornante ma piacevole. Una delle prime persone che le presentarono fu Mandy Nightingale, una donna meravigliosa, gentile, simpatica e molto professionale. Mandy, che insistette subito perché si dessero del tu, le illustrò i vari settori della scientifica e l'accompagnò a fare un giro per il dipartimento. Con il chiaro intento di studiare le reazioni di Ashley, le raccontò degli orrori che spesso si trovavano a dover affrontare. Ashley le spiegò che si era interessata un poco alla fotografia ma che non ne sapeva poi molto, ma la cosa non sembrò preoccupare Mandy. Le promise che l'avrebbe presa sotto la sua ala protettiva e che le avrebbe insegnato tutto ciò che sapeva.

«Posso insegnarti come si fotografa» si affrettò a dirle, «ma ho visto i tuoi disegni. È difficile trovare un talento come il tuo.»

Le spiegò anche che avrebbe avuto un impiego civile nel distretto di polizia di Miami-Dade, e che sì, certo, in seguito sarebbe riuscita a completare il corso di formazione.

«Riflettici, non voglio farti pressione, ma non capita tanto spesso che posti come questo siano liberi.»

Ashley annuì, ormai già convinta. «L'altro aspetto che mi preoccupa è la ricostruzione. Non ho mai fatto niente di simile.»

«Lo imparerai.»

Parlarono ancora per un po'. A metà mattinata il capitano Murray si unì a loro e Ashley gli annunciò che era pronta a iniziare il nuovo lavoro.

Seguirono ore di moduli da riempire e altre pratiche amministrative. Finito con quelle, Murray le annunciò con un sorriso che aveva il pomeriggio libero e che avrebbe iniziato, con Mandy, la mattina successiva.

Marty telefonò e si profuse in mille scuse. Disse che sperava di poter raggiungere Jake più tardi, se si fosse sentito meglio. Doveva aver mangiato qualcosa di avariato, o forse era un virus, comunque fosse, non riusciva a stare lontano dal bagno per più di un quarto d'ora.

Durante la riunione operativa Jake sentì la mancanza del collega, anche se gli altri uomini che componevano la squadra erano tutti ottimi poliziotti. Belk aveva quarantacinque anni, era esperto, ragionevole, riusciva sempre a mantenere la calma, in qualsiasi situazione, e aveva un effetto quasi magico sui testimoni. Rosario era più giovane di qualche anno, lavoravano insieme da molto tempo. Belk era calmo, Rosario chiassoso: una coppia formidabile per ottenere informazioni. Rizzo e MacManus erano i più giovani, ma con una buona dose di esperienza alle spalle; erano nella omicidi da oltre sette anni. Rizzo aveva fiuto per le indagini, MacManus aveva il dono di afferrare la scena del delitto nel suo insieme come pochi.

Si aggiornarono a vicenda, studiarono i rapporti, ripercorsero i risultati degli interrogatori nelle abitazioni della zona dove era stato ritrovato il cadavere. Quindi analizzarono la relazione del medico legale.

Poi c'era Franklin, che ancora una volta fece pesare la sua esperienza all'FBI. Quel giorno però tutta la sua esperienza servì solo ad arrivare alla conclusione che non avevano praticamente niente su cui lavorare, nonostante lui avesse passato al setaccio i file dell'FBI e avesse parlato con i responsabili di tutti i comandi del Paese. Franklin si riteneva molto bene informato e affabile. Per queste sue doti veniva spesso invitato a partecipare a trasmissioni televisive e la cosa lo inorgogliva non poco.

«Gireremo a vuoto, fino a quando non arriveremo all'identità della ragazza» dichiarò, fissandoli uno per uno. «Dobbiamo scoprire chi è.»

Jake non aprì bocca. Guardò Rosario e fece un mezzo sorriso. Stavano sicuramente pensando la stessa cosa.

Che imbecille.

«L'FBI non può fare miracoli per la soluzione di questo caso» aggiunse Franklin. «Avremo qualche risultato solo se voi farete il vostro lavoro fino in fondo.»

Jake si innervosì. A quanto ne sapeva, il caso era ancora sotto la giurisdizione della contea.

Si alzò in piedi, ma riuscì a controllarsi.

«Jake?» disse il capitano Blake, preoccupato.

«L'agente speciale Franklin ha ragione» convenne Jake con educazione. «Signori, torniamo al lavoro.»

Blake lo conosceva bene, sapeva che Franklin non gli piaceva. Ma il tono di Jake era stato abbastanza convincente, quasi adulatorio.

Jake tornò alla sua scrivania. Chiamò la scientifica e parlò con il dottor Gannet.

Guardò l'orologio.

Un attimo dopo afferrò la giacca e la valigetta e uscì.

 

«Signor Bordon?»

«Sì?»

Peter Bordon era seduto nel cortile e si godeva il sole. La guardia gli si era rivolta in modo educato. Quasi tutte le guardie erano gentili con lui, a dire il vero. Non avevano ragioni per non esserlo. Il comportamento di Bordon era irreprensibile, da detenuto modello.

«Una telefonata per lei. Le è stato concesso di rispondere.»

«Chi è?»

«Suo cugino Richard. Purtroppo qualcuno della sua famiglia sta male.»

«Ah.»

«Uscirà presto da qui, vero?» chiese la giovane guardia.

«Dipende da cosa deciderà la commissione.»

«Buona fortuna, allora»

«Grazie. Ti chiami Thomas?»

«Sì, signor Bordon.»

«Grazie, Thomas.»

Venne scortato al telefono. Una volta lì, Bordon prese il ricevitore. «Peter Bordon.»

«Hai ricevuto la visita del poliziotto.»

Le nocche si fecero bianche, ma il suo viso non cambiò espressione. «Sì.»

«E allora?»

«Non sa niente.»

«Auguriamoci che la situazione non cambi.»

«Non cambierà.»

«Sì, ce ne occuperemo noi.»

La comunicazione venne interrotta. La scorta lo aspettava.

«Niente di grave» disse alla guardia. «Mio nipote è malato, ma si sta riprendendo.»

«Mi dispiace.»

«È un ragazzino robusto.»

Bordon tornò al sole del cortile. Non scaldava più. Ripensò al suo arresto. I poliziotti potevano mentire ai sospetti durante gli interrogatori. E Dilessio gli aveva mentito. Doveva sapere qualcosa.

Ma lui non era crollato. L'avevano sottoposto al test della verità e l'aveva superato senza problemi. Poi era finito in prigione per frode ed evasione fiscale.

Sollevò il mento e sorrise. Non gli era dispiaciuto troppo. Aveva deciso subito di non provare a evadere, voleva scontare la pena. E adesso ne era felice.

Dopotutto, aveva trovato Dio.

Gli sarebbe piaciuto trovare anche un po' di coraggio. Dilessio non aveva smesso di indagare. Era come un cane con un osso. Gli altri non l'avevano ancora capito. Non avrebbe mai mollato.

Finché non fosse morto.

 

Appena uscita dall'edificio, Ashley telefonò a Karen per aggiornarla su Stuart. Karen le disse che voleva andare all'ospedale quella sera stessa e che avrebbe chiamato anche Jan. Non potevano fare molto, ma avrebbero portato un po' di conforto ai Fresia. Poi Ashley le raccontò del nuovo lavoro.

«È magnifico. Così resti nella polizia.»

«Da civile, finché non avrò terminato il corso all'accademia.»

«Ma resterai comunque nella polizia. Userai il tuo talento, imparerai un sacco di cose e verrai pure pagata. E bene.»

«Sì, però voglio diventare un poliziotto, prima o poi.» Esitò. «Gli investigatori della squadra omicidi possono fare molto di più.»

«Nessuno te lo impedisce, giusto? Pensa a quanta esperienza puoi accumulare, nel frattempo.»

Ashley ammise che aveva ragione. Si misero d'accordo per vedersi alle sei e si salutarono.

Aveva ancora in mano il telefono, quando sentì un soffio dietro l'orecchio. Si voltò stupita. Arne e Gwyn erano alle sue spalle. Arne la lanciò per aria e la riprese al volo come se fosse una piuma. Gwyn la baciò con forza sulle guance.

«Ehi, donna in carriera!» esclamò Arne.

«Ci hanno detto che è ufficiale, sei una disegnatrice della scientifica» le confidò Gwyn.

Ashley annuì. «Non potevo rifiutare un'offerta del genere.»

«Rifiutare? Ma hai idea di quante persone facciano domanda per avere quel posto?» Arne scosse la testa. «Dobbiamo festeggiare.»

«Mi sembra un'ottima idea.»

«Facciamo stasera?» propose Gwyn.

«No, stasera non posso, ho promesso a un paio di amiche di andare con loro all'ospedale.»

«Come sta il tuo amico?» chiese Arne.

«Stazionario, ma incontrare i suoi mi fa sentire meglio.»

Mentre parlava, qualcuno le cinse la vita. Si voltò e fu sorpresa di vedere Len Green.

«Ciao Len, hai già finito il turno?»

«No, dovevo passare in ufficio per un rapporto. Ma per una volta ne sono contento. Ho appena saputo della tua promozione.»

«In realtà non si tratta di una promozione...» iniziò lei.

«Sì che lo è» la interruppe Len. «Parlerai ancora con un umile poliziotto, ora che mi hai fatto mangiare la polvere?»

Lei rise. «Non ho fatto mangiare polvere a nessuno» protestò. «Ho solo cambiato lavoro.»

«Mettila come vuoi, comunque sono contento per te.»

«Andiamo a festeggiare con tutta la classe, Len» disse Arne. «Ti unisci a noi?»

«Certo, naturalmente, se posso. Quando andate?»

«Che ne dici di venerdì, Ashley?» propose Arne.

«Venerdì va bene, a meno che non succeda qualcosa a Stuart.»

«Non puoi trasferirti all'ospedale» intervenne Gwyn. «I genitori non si muovono da lì. Ma sono i genitori. Non può diventare un'ossessione.»

«Hai ragione. Facciamo venerdì. Va benissimo. Lo dirò anche alle mie amiche, Karen e Jan. Ti ricordi di loro?» aggiunse rivolta a Len.

«Conosce Karen e Jan?» chiese Arne.

«Anche Len era a Orlando» spiegò Ashley. Studiò la reazione di Len. Sperava davvero che fosse interessato a Karen. «Le ha conosciute lì.»

«Sono carine?» volle sapere Arne, in tono malizioso.

«Certo, tutte le mie amiche sono carine.»

Ashley guardò Len, ma non riuscì a decifrare la sua espressione.

Si limitò a mormorare: «Mi fa piacere rivederle, avete già deciso dove andiamo?».

«Da Bennigans. Si mangia bene e non è troppo caro. Mica tutti hanno ricevuto un aumento» disse Gwyn.

«Offro io» propose Ashley.

«Fantastico. Ora dobbiamo tornare in classe» annunciò Arne. «Sai, noi apparteniamo a quella razza inferiore che viene cacciata se li beccano a disegnare in classe.»

«Piantatela» protestò Ashley ridendo.

«Anch'io devo andare» disse Len.

«E tu, Ashley? Non ti fanno disegnare niente oggi?» chiese Gwyn.

Ashley scoppiò a ridere. «No, mi hanno dato il pomeriggio libero.»

«Credo che abbiano cambiato idea» osservò Len, con lo sguardo rivolto all'ingresso dell'edificio.

Ashley si voltò e vide il capitano Murray venire verso di loro. Murray salutò gli altri allievi con il suo solito tono cordiale, poi si rivolse ad Ashley.

«Mi spiace» disse. «Le avevo promesso che avrebbe avuto il pomeriggio libero, ma ho cambiato idea.»

Lei sorrise. «Non c'è problema, sarò felice di iniziare.»

«Allora andiamo. Le spiego tutto per strada.»

Ashley salutò gli amici e si avviò con Murray.

«Dove andiamo?» chiese.

«All'obitorio.»

 

La stanza era asettica. Nonostante le persone a cui era destinata fossero morte, era molto più pulita di qualsiasi altro ospedale in cui Jake fosse mai stato.

Al suo arrivo, Jake vide attraverso il vetro della porta che la ragazza era già stata portata lì. C'era il dottor Gannet e, cosa abbastanza strana, accanto a lui vi era il capo del personale, il capitano Murray. Aprì la porta ed entrò. C'era anche Mandy e la cosa non gli fece piacere. Era la migliore fotografa della scientifica, ma come ritrattista non era affatto brava.

Poi, suo malgrado, si ritrovò a bocca aperta.

Vicino a Nightingale c'era Ashley Montague.

Lo guardò. Dalla sua espressione capì che lei sapeva che sarebbe arrivato.

Jake guardò prima Gannet poi Murray, in attesa di una spiegazione.

«Sei arrivato, Jake. Credo che tu conosca già la signorina Montague, visto che siete vicini di casa» disse Murray.

«Sì.»

Che cosa ci faceva lei lì? Che senso aveva coinvolgere in un caso così importante un'allieva dell'accademia?

«La signorina Montague è entrata a far parte della scientifica. L'assunzione non è stata ancora formalizzata, ma quando Gannet ci ha chiamato le abbiamo chiesto di unirsi a noi.»

Fissò Ashley. Lei rispose allo sguardo senza battere ciglio.

«Perché?»

«È la migliore ritrattista che abbia mai conosciuto in tanti anni» spiegò Murray.

Fu a quel punto che Jake notò che Ashley aveva in mano un blocco e una matita. La loro Jane Doe, la povera Cenerentola, era di fronte a lei.

«Come abbiamo stabilito, in seguito ripulirò il cranio e Mason, della scientifica, si occuperà della ricostruzione. Ma visto che avevi fretta di avere qualcosa su carta, abbiamo ritenuto che la signorina Montague fosse la nostra migliore risorsa» disse Gannet.

Rigido come un tubo d'acciaio, Jake intrecciò le mani dietro la schiena e annuì. Guardò Ashley quasi con ostilità.

Non poteva evitarlo. Odiava le sorprese.

«Vedremo cosa riesce a fare» si sentì mormorare.

Ashley Montague aveva un colorito terreo. Doveva avere già assistito a un'autopsia, d'altra parte pochi cadaveri erano altrettanto orribili ed erano stati massacrati con altrettanta violenza.

Anche Nightingale teneva un blocco fra le mani. Non essendosi accorta della tensione che si era creata nella stanza, si avvicinò a Jake.

«Ecco, questi sono i primi schizzi.»

Jake prese i disegni e si morsicò il labbro inferiore.

Ottimo lavoro. Decisamente ottimo. Guardò prima i disegni e poi quello che restava del cadavere decomposto.

In qualche modo, Ashley era riuscita a trovare l'umanità della ragazza. E aveva dovuto basarsi solo su brandelli di pelle. Dell'occhio sinistro era rimasto ben poco, la bocca aveva perso colore e su un lato vi erano dei lividi. Ashley l'aveva resa uniforme. Aveva dovuto ricorrere all'istinto e all'immaginazione, ma quando Jake guardò prima il cadavere e poi il disegno, gli sembrò di vedere quella ragazza da viva. Ottimo lavoro, quasi incredibile, doveva ammetterlo.

Restituì il disegno a Nightingale.

«Non male. Immagino che ne farai degli altri» borbottò rivolgendosi ad Ashley.

«Sì, è quello che mi è stato chiesto.»

Jake annuì. «Ottimo, sarò di ritorno fra un'ora.»

«Jake, se vuoi posso farti avere i disegni al quartier generale...» iniziò Gannet.

Lui fece cenno di no con la testa. «No grazie, va bene così. Voglio paragonarli direttamente con il cadavere, per accertarmi della somiglianza. Torno dopo.»

Jake uscì dalla stanza. Si accorse di avere le dita ancora serrate.

Conosceva l'obitorio fin troppo bene. Sapeva dove andare per bere un caffè.

Si sedette e tirò fuori una cartellina piena di appunti. Era certo che continuando a rileggerli sarebbe riuscito a trovare la traccia che cercava. Fumo e specchi.

Non riusciva a concentrarsi.

Era furibondo.

Lei lo sapeva. Sapeva che stava per lasciare la scuola di polizia, almeno per il momento, sapeva che sarebbe entrata a far parte della scientifica, eppure non gliene aveva parlato.

A dire la verità, non è che avessero parlato poi molto.

Però avrebbe dovuto dirglielo. Non sapeva neanche che fosse tanto brava a disegnare.

In ogni caso, era meglio così. Almeno Ashley non sarebbe stata per strada, sull'auto di pattuglia.

Bevve un sorso di caffè, ormai freddo. Rimise gli appunti nella borsa e si affrettò per il corridoio, impaziente di vedere gli identikit.

Ashley ne aveva disegnati parecchi. Tutti ottimi. Ritraevano una giovane donna, che in vita doveva essere stata molto attraente. Qualcuno doveva averla amata. Qualcuno che non avrebbe mai voluto scoprire che non solo era morta, ma che era morta in modo così violento.

«Detective? Cambiamenti, suggerimenti?» chiese Nightingale.

Jake avrebbe voluto dire qualcosa. Trovare qualche errore.

Non avrebbe voluto che Ashley Montague fosse così maledettamente brava.

In realtà tutto quello che voleva era risolvere il caso. Avevano bisogno di gente in gamba. Però odiava le sorprese.

«Jake?» chiese ancora Mandy.

«No. Vanno bene.» Infilò i disegni nella valigetta.

Non ringraziò Ashley, anche se sapeva che avrebbe dovuto. Fece un cenno di saluto a Gannet e agli altri, Ashley inclusa, e si voltò per andarsene. Poi si costrinse a voltarsi.

«Grazie a tutti. Ne sceglierò uno per i giornali di domani.»

Non riuscì ad aggiungere altro. Si voltò e uscì. Di nuovo, si accorse che teneva ancora i pugni serrati.

 

12

 

Ashley avrebbe dovuto essere molto soddisfatta. Tutti si erano complimentati con lei. Il dottor Gannet, Mandy Nightingale e il capitano Murray. Il dottor Gannet l'aveva guardata con ammirazione e rispetto quando aveva visto gli identikit, il modo in cui era riuscita a rendere vivo un cadavere tanto sfigurato.

Il cadavere.

Ne aveva già visti parecchi, quasi tutti in video, e aveva assistito a un'autopsia. Non era mai svenuta, non aveva mai vomitato. Era rimasta salda, consapevole che ciò che provava lei era poco importante. Era quello il lavoro che aveva scelto, fare tutto il possibile per i feriti e i morti.

Ma non aveva mai visto, e neppure lontanamente immaginato, un orrore simile a quello del corpo di quella sconosciuta. La bile le era salita in gola, le era parso di soffocare, non riusciva quasi a respirare. Poi era tornata in sé, si era obbligata a comportarsi in modo professionale, a cercare i lineamenti che avrebbero restituito la vita a quel volto martoriato. Ma per tutto il tempo, ogni minuto, non aveva desiderato altro che poter sbattere il blocco per terra e fuggire via.

Però non l'aveva fatto. Aveva eseguito i disegni, e aveva fatto un buon lavoro. Era brava, avrebbe dovuto essere molto fiera dei risultati ottenuti. Ma mentre guidava verso casa, senza desiderare altro che poter fare una lunga doccia calda e cambiarsi d'abito prima di passare a prendere Karen e Jan, era furiosa con se stessa per non riuscire a essere ancora più felice.

Colpa di Dilessio.

Che andasse all'inferno.

Era doloroso sentirsi così, dopo la notte trascorsa insieme. Non era stato altro che un momento di follia, una boccata di ossigeno dopo essere rimasta tanto tempo sott'acqua. Lui non provava niente per lei, ne era sicura. Anzi, probabilmente la disprezzava.

Si fermò al parcheggio, che per fortuna questa volta non era occupato, sempre persa nei suoi pensieri e senza guardarsi intorno.

«Congratulazioni, Ashley!»

Aveva già visto quell'uomo seduto sotto la veranda. Sulla trentina, tarchiato, capelli scuri, mascella squadrata. Doveva essere già stato da Nick, ma lo aveva incontrato anche con Dilessio. Era il collega di Jake.

«Grazie» rispose.

Si avvicinò al tavolo. Lui sorrise.

«Sono Martin Moore, così la presentazione è ufficiale.»

«Lieta di conoscerti in modo ufficiale. A dire la verità, mi pare di averti già visto qui. Jack Black con acqua, sabato sera, giusto?»

Lui si appoggiò all'indietro, soddisfatto. «Ottima memoria. Non vengo poi così spesso. Ma forse d'ora in poi ci vedremo di più, visto che Jake ha la barca qui.»

«Bene» rispose, mentre si sforzava di continuare a sorridere.

«Ho sentito che oggi pomeriggio hai eseguito il ritratto alla nostra Jane Doe. Ottimo lavoro, a quanto sembra. Speriamo che qualcuno possa identificarla dall'identikit che i giornali pubblicheranno domani.»

«Le notizie viaggiano veloci» disse Ashley.

«Non poi così tanto.» Notò la sua espressione perplessa e si affrettò a spiegare: «Ho appuntamento con Jake. E lui che me ne ha parlato. Avrei dovuto esserci anch'io oggi pomeriggio, ma devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male».

«Mi spiace, spero che tu abbia potuto apprezzare la cena.»

«Sì, un dolce, e anche piuttosto attraente, angelo del focolare mi ha consigliato pane, brodo e pollo alla griglia. Mi sento già molto meglio.»

«Sharon Dupre» mormorò Ashley. «È la compagna di Nick.»

«Si sta proprio bene qui. Capisco perché ci venga tanta gente. Atmosfera familiare, vicino al mare, e tuo zio è davvero una brava persona.»

«Grazie, anch'io amo questo posto.»

«Mi fa piacere. Di solito i giovani non vedono l'ora di andarsene a stare per conto proprio.»

Ashley si strinse nelle spalle. «I miei genitori sono morti quando ero ancora molto piccola. Sono cresciuta con lo zio e siamo sempre andati d'accordo. Mi piace stare qui.»

«E ti piace il mare, vero?»

«Lo adoro.»

«Come Jake, non potrebbe starne lontano» osservò Marty. Poi scoppiò a ridere. «Sicura che non abbia ancora creato problemi?»

«No. Be' forse, ma solo a me.»

Marty tornò serio e la guardò. «Probabilmente vuole dare una mano a Nick a tenerti d'occhio.»

«Ma perché? Non sono certo l'unica donna in divisa.»

Marty sembrò scegliere con cura le parole. «Prima di me, Jake aveva una donna come compagna, lo sapevi?»

«No.»

«Era molto in gamba.»

«E...?»

«È morta.»

«Oddio. E come?»

«La sua auto è finita in un canale. È stato circa cinque anni fa. Subito dopo una serie di omicidi particolarmente cruenti.»

Ashley annuì. «Ne ho sentito parlare da Murray, mentre andavamo all'obitorio.»

«Jake non ha mai voluto credere che l'auto di Nancy Lassiter fosse finita da sola in quel canale. È convinto che lei sapesse qualcosa sugli omicidi e che sia stata uccisa per questo. La causa della morte fu un trauma cranico, perfettamente compatibile con il colpo contro il parabrezza. Non indossava la cintura di sicurezza.»

«Mi dispiace tanto. È terribile.»

«Forse non avrei dovuto parlartene, ma la tensione che c'è fra voi due è piuttosto evidente. Vi capiterà spesso di lavorare insieme, quindi è meglio che tu sappia tutto. Nancy Lassiter era sposata. Il matrimonio non andava bene e Brian, il marito di Nancy, era convinto che lei e Jake avessero una relazione. Erano molto intimi. Jake non parla volentieri del passato, ma parecchie persone al dipartimento ritenevano che fossero un po' troppo intimi. Comunque, nonostante tutte le prove contrarie, Jake non ha mai creduto che Nancy si fosse suicidata. Si ritiene responsabile, crede di non aver insistito abbastanza con lei perché lo rendesse partecipe di quello che aveva scoperto, ed è convinto che sia stata uccisa proprio per questo. Sei la nipote di Nick. Forse ha paura che anche tu possa cacciarti in qualche situazione pericolosa.»

«Allora dovrebbe essere contento che io abbia fatto un passo indietro e accettato un lavoro da civile. Ancora per parecchio tempo non sarò un poliziotto. Voglio lavorare un po' prima di tornare a finire l'accademia.»

«Sapeva che oggi saresti stata all'obitorio?»

«Non lo sapevo neppure io, l'ho scoperto solo quando mi sono trovata lì.»

«Non ti preoccupare. Troverete il modo di andare d'accordo.»

«Comunque c'è un sacco di gente al distretto, non credo che tutti quelli che lavorano insieme debbano per forza piacersi.» Ashley si accorse di avere parlato con troppa enfasi. Arrossì.

«Hai ragione. Non ho ancora visto i disegni, ma mi hanno detto che sono ottimi. Dovrei vederli ora, ho appuntamento con Jake fra cinque minuti.» Diede un'occhiata all'orologio.

«Bene. Spero che ti piacciano. Ora devo proprio scappare. Devo passare a prendere delle amiche prima di andare all'ospedale.»

«Vai dal ragazzo dell'autostrada?»

«Sì. Ne sai qualcosa?»

«Ho dato un passaggio a Jake fino all'ospedale, l'altra notte. Mi pare di capire che secondo te c'è qualcosa di strano nell'incidente.»

«Già.»

«Allora cerca di stare attenta.»

Ashley sorrise. Decise che Marty le era simpatico. Non aveva neppure provato a propinarle le solite teorie sulla droga.

«Grazie.»

Ashley corse in camera e in un lampo fu sotto la doccia. Vi rimase a lungo, godendosi il getto di acqua calda e ripensando a quel pomeriggio. Solo lei sapeva quanto le era costato fare quegli identikit e ora cercava di scacciare dalla mente l'immagine della donna morta sdraiata sul tavolo dell'obitorio. Non doveva lasciare che il lavoro la perseguitasse.

E neppure Dilessio.

Si sentiva ridicola, attratta da quell'uomo in un modo tanto intenso e inevitabile, come non le succedeva da anni. Era stata un'ingenua a credere di poter trascorrere la notte con lui e uscirne indenne, come se niente fosse. Era impossibile.

Prima di uscire, passò dal ristorante per salutare Nick.

Quando entrò trovò Katie, la cameriera che lavorava lì da anni, dietro al bancone. Sembrò sollevata di vederla.

«Ciao Ashley, meno male che sei arrivata, puoi darmi una mano?»

«Mi dispiace Katie, ma proprio non posso. Devo andare all'ospedale. Un mio amico...»

«Lo so, lo so. Anche Nick e Sharon sono lì» mormorò Katie con un sospiro. «Il locale era deserto e gli ho detto di andare, se volevano. Adesso però c'è un sacco di gente.»

«Ti aiuto io, Katie. Servirò ai tavoli» disse Sandy, seduto al bar.

«Sandy, ma tu sei un cliente» protestò Katie.

«Non sono un cliente, faccio parte dell'arredo» precisò con un sorriso. «Su Ashley, vai. Ma guarda che mi aspetto una ricompensa.»

«L'avrai.»

«Non parlo di soldi. Voglio sapere tutto della tua nuova carriera.»

Lo guardò stupita.

«Ci sono un sacco di poliziotti tra i clienti di Nick, l'hai dimenticato?» disse Sandy ridendo.

Ashley lo baciò sulla guancia. «Avrai la tua ricompensa.»

Salutò Katie e decise di uscire dall'altro lato della casa, per non correre il rischio di incontrare il detective Dilessio nel portico.

Quando arrivò a casa di Karen, l'amica l'aspettava sulla porta.

«Lo so, lo so, sono in ritardo.»

«Solo di pochi minuti» minimizzò Karen. «La gente normale non lo considererebbe un ritardo, ma data la tua mania per la puntualità...»

«In questi ultimi giorni sembra che non riesca più a essere tanto puntuale» mormorò Ashley.

«Ho chiamato l'ospedale poco fa, non danno molte informazioni per telefono, ma pare che Stuart sia stazionario.»

«Sì, resiste.»

«Come va? Sei riuscita a riposarti un po' oggi pomeriggio?» chiese Karen.

«No. Ho avuto il primo incarico.»

«Stai scherzando?»

«No. Passiamo a prendere Jan e poi vi racconto tutto.»

Ashley dovette suonare il clacson più volte prima che Jan uscisse di casa trafelata. Si scusò e disse che era al telefono. Si era spacciata per il suo agente per cercare di ottenere un contratto per il gruppo. Poi Ashley raccontò del suo primo incarico.

«Che roba» commentò un po' disgustata Jan dal sedile posteriore.

«Perché?» chiese Karen. «Ieri non era nessuno e oggi è la ritrattista della scientifica.»

«Sono contenta che tu possa disegnare, Ashley» disse Jan. «Ma preferirei che tu ritraessi persone vive.»

«Farò anche quello. Disegnerò identikit in base alle descrizioni dei testimoni. Ma la donna di oggi... non potevano pubblicare la foto della vittima in quelle condizioni.»

Parlarono ancora un po' del lavoro di Ashley, poi Jan chiese: «Non ci lasceranno vedere Stuart, vero?».

«Io sono entrata l'altra sera. I Fresia hanno detto alle infermiere che ero una parente.»

«Credi che potrebbero esistere altre due cugine?» chiese Karen.

«Forse. Anche Nick e Sharon sono all'ospedale.»

«Scommetto che Sharon avrà portato un sacco di roba da mangiare» mormorò Karen.

«E non li conosce nemmeno» commentò Jan. «Ma Nick sì. Lui e Nathan Fresia si davano sempre un sacco da fare per le feste della scuola, ricordate? Erano gli unici disposti a fare da bersaglio e finire in acqua.»

«Sharon ce la mette proprio tutta per essere...» iniziò Karen.

Ashley si voltò a guardarla. «Per essere cosa?»

«Una quasi mamma, direi. A me sembra che faccia di tutto per far parte della famiglia.»

Lei scrollò le spalle. «Non ha nessun bisogno di conquistarmi. Ho venticinque anni e sono adulta.»

«Sì, ma sei tutto per Nick» intervenne Jan.

«E poi» disse Karen, «ha intenzione di candidarsi alle prossime elezioni.»

Ashley rise. «E credi che prepari dolci e faccia visite in ospedale per ottenere voti?»

«Chi lo sa?» rispose Karen.

«Dov'è il problema?» osservò Jan. «I suoi dolci sono fantastici.»

«In questo caso perde tempo con i Fresia, non votano nel suo distretto» continuò Ashley, ancora ridendo.

«Forse non ha secondi fini» concesse Karen. «Staremo a vedere.»

«Tenetevi libere venerdì sera.» Ashley cambiò discorso. «Siete tutte e due invitate a una cena con i miei compagni di corso.»

«Ex compagni di corso» precisò Karen. «Cosa si festeggia?»

«Il mio nuovo lavoro.»

«Fantastico.»

«Sì certo, bel lavoro. Disegnare cadaveri» commentò Jan.

«Quello che per qualcuno è immondizia per altri può essere un tesoro» disse Karen.

«Peccato che Ashley non disegni immondizia.»

«Chi lo sa, forse un giorno disegnerà anche quella.»

Ashley rallentò per entrare nel parcheggio. «Sapete cosa mi è successo l'altra sera?» Raccontò dell'uomo che l'aveva inseguita.

«Ti sembra il caso di dircelo proprio adesso?» sbottò Karen.

«Se indossava un camice, probabilmente si trattava di qualcuno che lavora in ospedale e che aveva fretta di tornarsene a casa» cercò di spiegare Jan.

«Jan, sono in grado di capire quando vengo inseguita. Ho sporto denuncia alla polizia» annunciò Ashley.

«Allora ha ragione Karen, ottimo momento per raccontarcelo» disse Jan sarcastica. «Stiamo per parcheggiare nello stesso garage, o sbaglio?»

«Chiunque fosse se ne sarà andato, soprattutto dopo che Ashley ha fatto intervenire la polizia. Ne hai più saputo niente?»

«No, non ancora.»

Parcheggiò l'auto e scesero. Tutte e tre si guardarono attorno a disagio.

«L'ascensore è vicino, e poi siamo in tre» mormorò Ashley.

«E tu sei quasi un poliziotto» disse Karen.

«Non più» protestò Jan. «Hai la pistola?»

«No. Anzi, devo restituirla insieme al distintivo. Sono un'impiegata civile adesso.»

«Comunque non siamo sole.» Jan indicò un gruppo di persone che si dirigeva verso l'ascensore. Avevano mazzi di fiori e un palloncino con la scritta: È UN MASCHIETTO!

Si scambiarono sorrisi e salirono tutti insieme nell'ascensore. Dopo pochi minuti furono nel reparto di terapia intensiva. Lucy era con Nick e Sharon. Quando le videro, si alzarono per salutarle.

«Grazie di esserci così vicini» disse Lucy. «Nick è un tesoro. E anche Sharon. Gamberetti e dolci fatti in casa per cena.»

«È famosa per i suoi dolci.» Ashley sorrise a Sharon.

«È pagata per dirlo» scherzò quest'ultima.

«Dov'è Nathan?» chiese Ashley. «Dovreste mangiare prima che si raffreddi.»

«Vado a chiamarlo. Non so perché, ma sono sicura che Stuart avverta la presenza dei suoi amici.» Guardò Karen e Jan. «Sanno benissimo che non è vero, ma dirò che siete parenti. Scusatemi, vado a parlare con l'infermiera. Nick, Sharon, venite con noi al bar?»

«Mi piacerebbe, Lucy» borbottò Nick. «Ma devo tornare al ristorante.»

«Devo andare anch'io» aggiunse Sharon.

Nick diede alla nipote un buffetto veloce sulla guancia.

Jan si avvicinò ad Ashley e bisbigliò: «Peccato, avrei preferito che ci scortasse alla macchina».

Karen si unì a loro. «Non preoccuparti. Ashley non ha la pistola, ma io ho una bomboletta in borsa.»

«Cosa state confabulando?» chiese Sharon. «C'è qualche problema?»

«No. Va tutto bene» mentì Ashley. «È meglio se tornate al ristorante. Katie era presa fin sopra ai capelli, mi sono sentita in colpa a lasciarla da sola.»

«Dovrei assumere qualcun altro» mormorò fra sé Nick.

«Sandy si è offerto di darle una mano.»

«Sandy?» chiese Nick.

«Nessuno meglio di lui conosce i gusti dei clienti» lo tranquillizzò Sharon. «Arrivederci, ragazze, guidate piano'mi raccomando.»

Lucy tornò con Nathan.

«Allora ragazze, hanno fatto finta di credere alla storia che siete parenti. Potete entrare due alla volta, non staremo via molto.» Lucy cercò di nascondere la preoccupazione.